sabato 1 agosto 2015

AUM...




 Effetti positivi della meditazione spirituale

 sui Tre Dosha,

 fattori-base dell’Ayurveda

























Tesina di Diploma in Medicina ayurvedica

Bologna, Dicembre 2008
































        Diplomando: Francesco Giampà




























Indice





Capitolo Primo - Natura e significato del Tridosha




  a)    Introduzione generale: i principî del cosmo secondo l’induismo         pp.  1-3
                               
  b)    Dosha e stato di salute                                                                              pp.  3-4

  c)    Rapporti fra i Dosha e i vari organi                                                           pp.  4-7

  d)    Categorie di malattie e tipi corporei                                                         pp.  7-8
                                                                    







Capitolo Secondo - Effetti della meditazione
 sulla mente ed il corpo



    a)    Com’è nato l’Ayurveda                                                                           pp.  9-10
                             
    b)    A cosa serve l’Ayurveda                                                                         pp. 10-2
                                       
c)         L’Ayurveda quale scienza della longevità                                            pp.  12-5
   
d)         Ayurveda e Jyotisha                                                                               pp.  15-7

e)    Il riequilibrio psicofisico attraverso la meditazione                             pp.  17-9

   





























































Capitolo Primo



Natura e significato del Tridosha









    a)    Introduzione generale: i principî del cosmo secondo l’induismo




    L’Ayurveda, come mostra la denominazione stessa, indica la conoscenza (Veda) della


vita (ayus).  Essendo il sistema vedico in tutto connesso, anche l’Ayurveda costituisce


parte integrale dei Veda.  Il Veda stabilisce che i tre principî costitutivi dell’universo sono


rappresenta  ti dal Tripurusha  (le ‘Tre Persone’, più o meno corrispondenti a quelle della


Trinità cristiana).


    Il Primo Purusha o Purusha Supremo (Purushottama) è l’Assoluto, cioè quel che noi


occidentali cristiani chiamiamo Dio Padre.  Il Secondo Purusha è il Principio della


Manifestazione cosmica, insomma l’Uno che crea il mondo.  Nella Bhagavad Gita viene


identificato a Krishna, così come i cristiani identificano il <Figlio> (di Dio Padre) a Cristo. 




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( Darśan A.S.D. )


Il Terzo Purusha, infine, equivale allo Spirito Santo, in quanto essenza sdoppiata


dell’essere totale.  Ossia quel Purusha che è Krishna, rappresentante androginico


dell’Essere (o Principio della Creazione), si sdoppia in Maschio e Femmina.  In altre


parole, il Terzo Purusha, che è solamente Essenza, s’accoppia alla Mula-Prakriti, cioè


letteralmente la ‘Radice della Manifestazione’ o Sostanza ) ed accoppiandosi determina la


Creazione.


    Ora, è appunto al minore dei tre suddetti Purusha che s’applica la scienza ayurvedica. 


Il Terzo Purusha è il campo d’applicazione del sapere cosmologico, nel cui ambito rientra


l’Ayurveda coi suoi trattamenti specifici.  Infatti, nell’atto creativo il Maschio-essenza si


unisce alla Femmina-natura e dall’accoppiamento nascono i Tre Guna.  Vale a dire, le ‘Tre


Qualità’ dell’esistenza: 1) Sattva, associato al color bianco; 2) Rajas, al color rosso; 3)
  

Tamas, al nero.  Il Triguna costituisce la triplice polarizzazione della Mente (Manas), più


o meno coincidente con quel che in Occidente definiamo nell’insieme Superconscio


(Sattva, la parte superiore della psiche tendente alla trascendenza), Conscio (Rajas, la


parte mediana sempre vigile e tendente all’attività) e Subconscio (Tamas , la parte





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( Darśan A.S.D. )



inferiore e più pigra nonché tendente alla passività).


    Dal riflesso sul mentale dei Tre Guna si sviluppano i famosi 5 Maha-bhuta (‘Grandi-


elementi ): 1) Etere (Akasha), 2) Aria (Vayu , 3) Fuoco (Agni), 4) Acqua (Ap), 5)


Terra (Prithivi).  Anche i Greci conoscevano i 4 Elementi e designavano <Quintessenza>


la loro comune origine.  Tale nozione sta alla base della loro filosofia.  Gl’indiani invece li


chiamavano Pañca Maha Bhuta, ovvero ‘Cinque Grandi Spiriti’; s’intende, degli Elementi. 


La relazione del Tridosha coi Bhuta è semplice, quello proviene da questi.  Si potrebbe


addirittura considerare il Tridosha, siccome combinazione dei Bhuta, una manifestazione


su un piano inferiore del Triguna.  Nel senso che da Akasha e Vayu deriva Vata (insieme


di Etere e di Aria), da Agni e Ap si ha Pitta (Fuoco con Acqua), da Ap e Prithivi Kapha


(Acqua e Terra ).






        b)    Dosha e stato di salute




    In condizioni di normalità il Tridosha, che ovviamente è incorporeo essendo generato da




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( Darśan A.S.D. )


una fluidità impercettibile ai sensi, risulta equilibrato per proporzione ed azione.  Cosicché


la persona gode di buona salute.  Se, al contrario, una persona adotta diete squilibrate


oppure agisce in maniera irragionevole, si determinano degli sconvolgimenti fisiologici


 all’interno del corpo umano in relazione ai Tre Dosha.  O, se vogliamo dire diversamente,


il Tridosha controlla l’organismo dell’individuo, regolandone l’equilibrio generale; tanto a


livello fisico, quanto a livello mentale.  Ciò dal momento che non soltanto esiste un


interscambio psicosomatico fra la mente e il corpo, nel senso che il corpo somatizza i   


problemi mentali, ma avviene anche in linea inversa un interscambio fra il corpo e la


mente.






    c)    Rapporti tra i dosha e i vari organi




    L’Etere predomina sugli altri 4 Elementi e ne mantiene l’equilibrio colla sua natura più


rarefatta.  Può esser concepito quale spazio che permette il movimento.  Gli altri 4


Elementi sono distinguibili  in 2 maschili (Aria e Fuoco) e due femminili (Acqua e Terra). 





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( Darśan A.S.D. )


Ragion per cui la loro quintessenza costituisce, in certo modo, la non-distinzione originaria


tra maschile e femminile.  In maniera analoga, altrettanto fra i dosha è Vata a dominare


sugli altri due (Pitta e Kapha), sui quali svolge una funzione a sua volta regolatrice.


    Essendo il più elevato dei tre, Vata (misto di Etere e Aria) ha a che fare colle parti più


nobili dell’individuo, il cervello e il sistema nervoso.  Inoltre, regola il sistema osseo ed


articolare, nonché parte del sistema digerente.  Praticamente l’intestino grasso, dove


s’accumulano i gas della fermentazione e della putrefazione.  Giacché l’apparato uditivo


corrisponde elementalmente all’Akasha e il sistema tattile a Vayu,  ecco che Vata (lett.


‘aria’) essendo un insieme di questi due bhuta governa sia l’udito che il tatto.  Due fattori


psicologici sono particolare fonte di squilibrio del Vata, le ansie e le paure, che stanno alla


base dello stress contemporaneo.  Lo stress, come insegna il dizionario inglese, altro non


è che ‘tensione’ accumulatasi nel vivere quotidiano tramite l’ansia per il presente e la


paura del domani.  Pitta (lett. bile)’, di cui la veloce attività calorica generata dal sangue e  


dai vasi sanguigni è la principale caratteristica), essendo viceversa composto dal punto di


vista elementale di Fuoco regola il sistema cardio-circolatorio; e, simultaneamente,





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governa quella parte del sistema digerente che corrisponde all’intestino tenue e al fegato. 


    Questa parte del corpo ove risiedono i suddetti organi ha d’altronde a che fare nella


fisiologia occulta della tradizione tantrica col Terzo Cakra, correlato all’Elem. Fuoco.   È


vero che l’Ayur è altra cosa rispetto ai Tantra, legati al culto della Shakti, la Gran Madre


indiana.  Tuttavia, dipendendo dall’Atharvaveda, cioè dal Veda tantricizzato in età


relativamente recente (Kaliyuga),  l’Ayur è ad essi senza dubbio apparentato.  Essendo


però formato in parte anche di Acqua, Pitta predomina su quelle facoltà cerebrali che


come tale elemento hanno capacità penetrativa (intelletto, comprensione ecc.) nei


confronti della realtà circostante.  All’interno dei sensi la vista è determinata dalla luce e,


quindi, appartiene al Fuoco.  Perciò Pitta governa la vista.  Al negativo è la collera, intesa


quale infiammazione della mente, il principale fattore squilibrante di tale dosha.   


    Kapha (lett.  ‘flemma’), di cui la lentezza circolatoria dei vasi linfatici è il fulcro a livello


organico), dal canto suo è responsabile dello stomaco, dei polmoni e del torace più in


generale, compreso l’intero apparato respiratorio.  In pratica, quelle parti del corpo più


umide ed aventi funzioni vegetative, così come Pitta regola le funzioni fisiologiche





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propriamente animalesche.  Kapha sta per di più in rapporto al sistema tegumentario e


connettivo (pelle e tessuti), dato che dipende dall’Acqua e dalla Terra, ossia gli Elementi-


base.   A loro volta Acqua e Terra vengono correlati sensorialmente al gusto e all’odorato. 


Quindi Kapha dispone, in aggiunta, di codesti due sensi.  Poiché i sentimenti ed ogni


forma affettiva in generale hanno natura fluidica e passiva dal punto di vista psichico,


Kapha regola altresì queste nostre espressioni intime.  Negativamente parlando,


l’attaccamento risulta il principale ostacolo al mantenimento in equilibrio di questo dosha.






    d)    Categorie di malattie e di tipi corporei




    C’insegna l’Ayurveda che i disturbi mentali e corporei vengono talvolta prodotti dai tre


Dosha nel loro insieme, talora invece dalla combinazione di due di questi o solamente da


uno di essi.  A tal proposito bisogna sapere che la scienza ayurvedica prende in


considerazione due categorie di malattie, denominate sharirika e mansika.  Le prime


producono disturbi corporei, le seconde disturbi mentali.  I due aggettivi derivano dal





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sanscrito sharira  (‘corpo’)  e manas (‘mente’).


    Esistono comunque tipi diversi di costituzione fisica secondo gl’indù, da costoro posti in


correlazione colla Prakriti (‘Manifestazione’).  Come diremmo noi, si tratta in definitiva di


tipologie naturali diversificate.  La classificazione indiana è ovviamente triplice: 1) Vatika


(‘Ariosa’), Paittika (’Biliosa’) e Kaphaja. (‘Linfatica’).  E dipende strettamente dall’individuo,


a partire già dalla sua forma embrionale.  Questa triplice classificazione ha una ignota


corrispondenza nella tradizione occidentale colla suddivisione degli umori, che a differenza


di quella orientale è tuttavia quintuplice.  Difatti l’umanità era anticamente classificata dalla


cultura europea secondo i seguenti 5 Temperamenti: a) Equilibrato (ovverosia


Quintessenziale), b) Nervoso (cioè Arioso), c) Sanguigno (ossia Igneo), d) Bilioso (ovvero


Fluidico ), e) Flemmatico ( o Linfatico ).



















Capitolo Secondo



Effetti della meditazione sulla mente ed il corpo









    a)    Com’è nato l’Ayurveda




    Al dire di Candrashekar G. Thakkur, insegnante ayurvedico marathi, fin dal I millennio


a.C. veniva fatta distinzione in India fra i medici veri e propri e i semplici guaritori.  Anche


se, ad esser sinceri, l’Ayurveda costituiva di per sé un’appendice del quarto e più recente


dei Veda, l’Atharva.  Ora, l’Atharva non è che un manuale in sostanza di formule magiche


e incantesimi, pur comprendendo molte altre cose tra le quali una lode sperticata dello


studio dell’anatomia umana… 


    Da ciò si capisce perché mai l’Ayur sia considerato un upaveda (Veda minore).  Nella


mentalità indiana l’Atharva è il Veda apposito del Kaliyuga, la Quarta Epoca, essendo


molto vicino ai Tantra.  Questo per il fatto che nella nostra Epoca (s’intendono in tal senso




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pressappoco gli ultimi 6.500 anni) le conoscenze più arcaiche alle quali si rifà la dottrina


brahmanica si sono confuse con altre non-vediche.  Soprattutto con quelle tantriche, di


matrice dravidica.  I Dravidi sono a loro volta discendenti d’un ceppo camitico d’origine


mediterranea, che si spostò alcuni millenni or sono sino alla terre bagnate dal fiume Indo. 


In altre parole, è possibile dire, l’Atharva e l’Ayur posseggono un carattere abbastanza


popolare.  Quasi come i Tantra, rispecchianti dal canto loro la tradizione dravidica vera e


propria.






    b)    A cosa serve l’Ayurveda




    Si suol dire che l’Ayur si basa nella cura delle malattie principalmente sul controllo della


idratazione.  Questo fa sorridere di primo acchito noi occidentali.  Eppure, non afferma la


scienza moderna che il corpo degli animali e delle piante è composto in gran parte


d’acqua?  L’acqua è la vita, anche a livello organico!  Oltre all’acqua, nella terapia


ayurvedica si adoperano le erbe medicinali, come nell’erboristeria europea.  Sennonché,





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dichiarano i maestri indiani attuali dell’Ayur (vedi documentario introduttivo trasmesso a


suo tempo in un canale televisivo privato), le erbe oggi a disposizione sono assai meno di


quelle che si potevano adoperare una volta.  Poiché il disboscamento e il diserbo massicci


dei terreni incolti, per far posto a coltivazioni agricole, hanno prodotto un danno pressoché 


irreversibile alla vegetazione naturale.  Sicché, oggi certe specie di erbe medicinali non


sono più disponibili, con gran danno alla nostra salute.  Oltreché alla natura e al


paesaggio…


    Un altro problema sorto indirettamente dalla situazione appena descritta è costituito dai


medicamenti minerali.  La pratica ayurvedica prescriveva un tempo parallelamente l’uso


terapeutico dei metalli, ma gl’inesperti praticanti attuali non sanno che una volta i metalli


venivano trattati con speciali piante depuranti, al fine di renderli idonei ad esser ingeriti in


polvere dal nostro organismo.  Più o meno come si fa, attualmente, per mezzo di


compresse contenenti ferro per le persone anemiche.  Anticamente si faceva impiego


anche degli altri sei metalli alchemici, a parte il ferro: oro, argento, mercurio, rame, stagno


e piombo.  È ovvio che, ignorando la tecnica depurativa del passato, coloro che hanno





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preteso d’applicare le antiche formule in maniera ingenua o hanno raggiunto dei risultati


inconcludenti, finendo col dimostrare    seppur a torto – che i vecchi metodi terapeutici


indiani non possedevano alcuna efficacia né basi scientifiche serie;  oppure hanno


determinato gravi avvelenamenti alla salute dei loro pazienti, con danni evidenti


all’immagine delle pratiche mediche indiane di tipo alchimistico.


    È dunque comprensibile che in seguito si sia diffusa l’idea che l’Alchimia, se presa per


quel che doveva essere, rappresentava un simbolismo esclusivamente spirituale.  E che


invece l’azione senza capo né coda di certi alchimisti ignoranti s’esercitasse con ingordigia


su assurdi esperimenti chimici per fabbricare oro.  Niente di più falso.  Se è vera la prima


parte dell’asserzione, non può esserlo la seconda in base a quanto affermato sopra.  Vi è


infatti chi sostiene che ogni metallo puro e naturale ha la sua funzione anche sul piano


strettamente medico.






    c)    L’Ayurveda quale scienza della longevità




    Un altro pregiudizio che l’occidentale deve affrontare riguarda la causa prima delle


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malattie.  Si è visto al Capitolo Primo che secondo l’Ayur sono i Dosha a provocare lo


squilibrio patologico nell’organismo malato.  Anzi il termine dosha in origine significava


‘colpa, vizio; danno; alterazione, malattia’.  Solo successivamente è venuto a designare


i tre umori che una volta in disequilibrio le provocavano.  Però, a ben guardare, cos’è che


innanzitutto determina il disequilibrio umorale?  I testi rispondono, senza pudore: Dei e


Démoni (letteralmente Deva ed Asura).  Dinnanzi ad una risposta di questo genere, se


qualcuno ha già mostrato prima qualche tentennamento verso la logica dell’Ayur, a tal


punto perde fiducia definitivamente nei confronti della medicina indiana in generale.  Non


c’è scampo!  Eppure tracce di codesto metodo sono reperibili persino nell’Europa


Medievale o nell’Antico Egitto.  Da ricerche storiche recenti pare che Gesù stesso


disponesse di conoscenze mediche di tal tipo, mutuate tramite Giovanni Battista e gli


Esseni dalla medicina egizia, apparentata di per sé a quella indiana.  Dato che, come i


Dravidi, anche gli Egizi erano delle popolazioni camitiche.


    Per capire insomma quanto ci dicono i testi indiani, bisogna naturalmente sapere con


precisione cosa Deva ed Asura fossero per gli antichi abitatori dell’India.  Dagli studi oggi





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noti si deduce che per Deva essi intendevano gl’influssi dello Zodiaco sul Destino umano; 


o meglio, i principi divini inerenti alle costellazioni ed emananti nel cosmo la loro celeste


potenza.  Per Asura, viceversa, s’intendevano gl’influssi planetari e relative cause prime. 


    Non si può adesso discutere, seriamente, se costellazioni e pianeti siano mossi da Dei


eTitani (o da Angeli e Demoni, come credevano i cristiani nel Medioevo ) oppure


costituiscano esclusivamente degli oggetti cosmici in movimento nello spazio.  Il problema


della validità scientifica dell’Astrologia indiana non è qui in discussione.  Semmai è in


discussione la coerenza dell’Ayur colle basi cosmologiche e metafisiche da cui dipende.


È chiaro che chi non crede che la vita abbia origini divine ed ha una visione materialistica  


del mondo non crederà neppure che le malattie possano esser generate dal cosmo, né


che l’astratto possa generare il concreto.  Anche se l’esperienza immediata ci prova il


contrario, poiché per fare una cosa, qualsiasi cosa, occorre prima studiarla e realizzarla


mentalmente, cioè in astratto.  Solo dopo avverrà l’applicazione in concreto.  Maha-bhuta


e Dosha sono concetti astratti, non si trovano in natura allo stato grossolano della materia,


appartengono al mondo sottile della psiche.  Non per questo sono irreali.  Sono molto più





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illusorie le cose concrete, come ad es. le malattie.  Che difatti sono per loro natura assai


sfuggenti ed indelimitabili.  Gli ayurvedisti non si occupano troppo perciò di classificarle e


descriverle una per una.   Preferiscono piuttosto affrontarle con una cura efficace e


debellarle, riportando mente e corpo ad uno stato di salute il più possibile durevole.  Ecco


in cosa consiste essenzialmente la tecnica di longevità ayurvedica.






d)         Ayurveda e Jyotisha




    Riassumendo, nella visione indiana del mondo la Divinità è la causa prima delle


malattie, come d’ogni altra cosa del resto; i signori planetari e stellari le cause seconde,


Bhuta e Dosha le cause terze.  Se il mondo è divino, allora le influenze della Divinità sul


mondo sono un fatto reale, non una fantasia.  In ogni caso, anche i più grandi pensatori


occidentali – da Platone a Dante, da Newton e Goethe – hanno ritenuto divino il cosmo


e scientifica l’Astrologia (sanscrito Jyotisha).  Persino le ricerche mediche del sec.XX


hanno provato la veridicità dell’indagine antica in campo astrale, soprattutto da parte





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dei Camiti (Dravidi, Sumeri, Egizi).  Tempo fa infatti un medico cecoslovacco, il dott.


Jonas ideò un metodo di controllo delle nascite fondato nientemeno che sulle ricerche


astrologiche degli antichi Sumeri, provando la maggior validità delle loro nozioni sul ciclo


mestruale di quelle embriologiche della medicina occidentale  moderna.  Purtroppo fu


poi allontanato dal suo incarico per ragioni politiche e messo a tacere in un manicomio,


lui che era psichiatra.


    La presenza planetaria nell’oroscopo d’una persona, in determinati campi o meno,


forma a seconda delle costellazioni nelle quali essi compaiono un quadro elementare


specifico, che varia di giorno in giorno in base ai transiti astrali.  Dato che i Dosha


dipendono dai Bhuta e i Bhuta dal Kalacakra (la ‘Ruota del Tempo’, colle sue variazioni


continue in sede celeste), è chiaro che le influenze degli astri alleggeriscono o


complicano per loro natura il quadro elementale generale di tutti gli esseri viventi, ciò


riflettendosi sulla salute d’ogni individuo.  Benché non soltanto su quella.  Il medico


esperto, perciò, doveva tener conto delle influenze ma non rimanere passivo di fronte a


queste.  In ciò stava appunto la differenza fra Medicina (Ayurveda) e Astrologia 


(Jyotisha).


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    Le prescrizioni del medico servivano a modificare in meglio la situazione astrale,


sanando dove si doveva sanare.  La cura consisteva nell’uso di semi, erbe, fiori,


cortecce (in polvere o in infusi) oppure nell’impiego di metalli polverizzati e depurati


dalle sostanze tossiche incluse.  Tenendo conto della stagione, del luogo di provenienza


del malato, dell’età – tutti fattori connessi in un modo o nell’altro agli astri – si invitava il


malato a far a meno dieteticamente di certi cibi, di certi atteggiamenti psicologici.  Il tutto


in una sintesi complessa che teneva conto del valore d’ogni singolo Elemento e delle


combinazioni possibili.  Un esempio banale.  Se un individuo nasceva con una


prevalenza dell’Elemento Fuoco, era inevitabilmente soggetto a disturbi legati a tale


Elemento.  Cioè cardiopatie, problemi a livello ematico, ecc.  L’acquisizione di cibi


appropriati e rinfrescanti o la pratica di terapie varie con analogo scopo produceva


risultati benefici.  Viceversa, se in una persona si verificava una carenza di Acqua


(l’Elemento, non il dissetante comune ) nell’oroscopo radicale od in quello annuale.  La


terapia cercava di riequilibrare l’Elemento carente, quasi che fosse un oligominerale.







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e)          Il riequilibrio psicofisico attraverso la meditazione   




    Gl’influssi e i riflussi astrali, concernono esclusivamente il campo psichico. Non


agiscono sullo Spirito.  Vi è un’unica cosa che regola la nostra spiritualità: la


meditazione trascendentale, o yogica per così dire.  La meditazione poggia sulla


concentrazione .  La concentrazione profonda provoca un magnifico rilassamento di tutti


i muscoli del corpo, ma non consiste in un semplice training autogeno, il quale produce


benefici esclusivamente fisici.  La meditazione agisce in parallelo anche sulla psiche. 


Poiché non è la mente a condurla, come avviene col training, bensì il nostro Sé più


profondo. 


    È tramite questo nostro inabissarci nelle più segrete fenditure della coscienza che


veniamo a conoscere il nostro essere vero e raggiungiamo la beatitudine.   Secondo la


nota formula logica Sacchidananda (lett. ‘Essere-Coscienza-Beatitudine).  Finché la


mente pensa, agiscono su di noi le influenze cosmiche, con tutti i loro pericoli dal punto


di vista della salute.  La meditazione formale, se attuata nel modo giusto, compie una






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sospensione del mentale molto più profonda di quella prodotta dalla semplice preghiera. 


E magicamente viene così a riequilibrare la negatività psichica accumulatasi in noi in


vari modi.  Tramite il nostro vivere quotidiano, la nostra dieta, le nostre frequentazioni, la


nostra esposizione ai fattori ambientali più disparati, le nostre emozioni intime.  E così


via.  In sintesi, il nostro sottostare ai raggi cosmici e alle loro determinazioni vitali.


    Anche in questo caso, non val la pena d’analizzare tutti i fattori disturbanti circostanti,


od interiori, ma occorre invece eliminarli tutti assieme in una volta colla pratica


meditativa.


    Quel che succedeva originariamente, secondo quanto ci narrano le scritture indiane,


nel Paradiso Terrestre.  La meditazione lo riattualizza attraverso lo Yoga (‘Unione’,


col Principio della Creazione ) od ogni altra pratica di coltivazione spirituale omologa. 


Ragion per cui, la prerogativa della purezza appartenente agli esser paradisiaci – dalla


tradizione hindu chiamati Hamsa (‘Oche Selvatiche’) – scende alla nostra portata. 


Purezza in tal senso significava pure assenza di malattia.  L’oca selvatica è un


uccello capace di librarsi nell’aria maestosamente.  Cinesi ed indiani da tempo





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immemorabile hanno preso siffatto volatile ad indicare il volo shamanico dell’anima


individuale (Jivatma) verso l’anima universale (Atma).


    Per taluni la cosa avviene solamente nel momento della morte.  Per altri nemmeno in


tale circostanza purtroppo e  per altri ancora ogni volta, o quasi, che s’accingono a


meditare.


































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( Darśan A.S.D. )




Bibliografia



1)     C.G.Thakkur, Introduzione all’Ayurveda- Astrolabio-Ubaldini, Roma 1979.
2)     M. & J Stutley, Dizionario dell’Induismo- Astrolabio-Ubaldini, Roma 1980.
3)     Dizionario d’Inglese Hazon-Garzanti, Milano 1961.
4)     M. Monier-Williams, Sanskrit-English Dictionary- N.Delhi 1981.
5)     N.Zingarelli, Vocabolario della lingua italiana- Bologna 1996.
6)     Dispense delle lezioni a c. del Seminario.
7)     G.Acerbi, Kālacakra, la Ruota Cosmica- Univ. di Ven. “Ca’ Foscari”, Venezia 1985, tesi di laurea in ‘Storia dell’arte dell’India e dell’Asia Centrale’.
8)     S.Radakrishnan, Bhagavad Gita- Astrolabio-Ubaldini, Roma 1964.





                                       Consulente:     GIUSEPPE ACERBI

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