venerdì 1 febbraio 2013

SERENA


di Ezio Albrile




       Tra le presenze costanti nell’immaginario dell’arte romanica, un posto di  rilievo è certamente tenuto dalle Sirene. In origine sono creazioni mitologiche dal volto femminile e corpo di uccello (1); più tardi il mondo tardo-antico le raffigurerà come donne nella parte superiore del corpo e pesci nell’inferiore (2). Così farà la cultura medievale (3) riflessa nel poema di Dante, unendo le due rappresentazioni (4).  Secondo Ovidio (Met. 5, 551-563) le Sirene, figlie di Acheloo, sarebbero state compagne di Proserpina; il loro numero è indicato dai mitografi ora in due, ora in tre, ora in quattro, così fa il Boccaccio (Gen. deor. 7, 20), e avrebbero avuto sede sulla costa tirrenica. La loro fama è legata soprattutto alla circostanza omerica (Od. 12, 39-54. 158-200): prima del ritorno in patria, Circe mette in guardia Odisseo dal fascino delle Sirene; chi ammaliato ascolta il loro canto dimentica la propria sposa e la dimora natia, per trovare misera morte presso la loro isola. Dalle parole di Omero si capisce che si tratta di due Sirene. Sedute su di un prato fiorito cantano, avendo tutt’intorno le ossa degli uomini morti. Sono onniscienti, capaci di mutare lo scorrere del tempo. Quando Odisseo si avvicina con la nave, il vento si ferma. Le Sirene lo chiamano per nome, narrando le vicende accadute davanti a Troia. Odisseo però ha sigillato le orecchie dei compagni con la cera ed egli stesso si è fatto legare all’albero della nave, solo così può scampare al disastro.

        Nella tarda antichità e ancora agli esordi del cristianesimo è accentuata la relazione tra le Sirene e la morte: si esalta la forza del cristiano contro ogni errore, paragonandola alla resistenza di Odisseo alle Sirene. Anche l’albero della nave viene paragonato alla croce. Già i commentatori tardo-antichi, e naturalmente anche i medievali, rintracciarono nell’episodio un valore allegorico morale: se i più indicano nel canto dolcissimo delle Sirene i suadenti e mercenari richiami degli amplessi femminili (Isid. Etym. 11, 3, 31), non mancano però interpretazioni mistiche dell’episodio, specie nei sarcofaghi cristiani, anche in senso cristologico (5). La presenza costante in monumenti e vestigia romaniche è spiegabile anche con un paradigma astrologico. Le due parti in cui è composto il corpo della Sirena, la fanciulla e i pesci, oltre al dualismo fra anima e corpo, sono infatti riconducibili ai segni zodiacali della Vergine e dei Pesci. Entrambe le costellazioni sono a vario titolo coinvolte nella vicenda cristologica, per la ovvia identificazione tra il segno della Vergine e la Madonna (6) e tra i Pesci e Gesù, deducibile dal famoso acrostico (7) ΙΧΘΥΣ = Iēsous Christos Theou Hyios Sōtēr, popolare anche tramite gli Oracoli Sibillini cristiani (Euseb. Const. or. ad sanct. coet. 18, 217-250)(8). Ma non solo, poiché i segni della Vergine e dei Pesci richiamano rispettivamente i tempi dell’equinozio d’autunno e dell’equinozio di primavera, in uno Zodiaco precessionale in cui il punto vernale o punto gamma si è spostato nella costellazione dei Pesci. I due luoghi equinoziali ricordano infine la tragica e duplice vicenda dell’anima caduta nel mondo e liberata dal Salvatore: le Sirene nel mito platonico di Ēr (Resp. 10, 614 a 4-616 a l4) cantando simultaneamente, fanno udire l’armonia delle stelle, cioè l’armonia delle sfere (9), alle anime radunate e predisposte a entrare in una nuova esistenza attraverso la metempsicosi.



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        Cosmograficamente il pensiero medievale localizzava le Sirene in terre incognite, oltre le Colonne d’Ercole, in mare Britannico (10), cioè in quei «mari d’Occidente» (11) ove prospera un’isola celebrata dal mito, Thule. Ma le Sirene in origine erano metà donne e metà uccelli (12). Queste creature fantastiche, demonizzate nella mitologia classica, sono legate etimologicamente alla radice greca √σερ (σFερ), ovvero all’indoeuropero svar, da cui dipendono anche il sanscrito sūrya e l’avestico xvarənah- (> pahlavi xwarrah), il potere fulgureo, lo splendore fiammeggiante, la forza luminosa (13) che nei miti zoroastriani dimora negli abissi del lago o «mare» Vouru.kaša ed è intimamente relata al simbolismo germinale delle acque (14). Le Sirene sarebbero quindi le «splendenti», le «rilucenti». D’altronde non è un caso che nella mitologia iranica proprio una dea, Arədvī Sūrā An…hit… (> pahlavi Ardvīsūr Anāhīd)(15), custodisca una grande quantità di xvarənah-, preservandolo dai ripetuti attacchi del malvagio Fraŋrasyian (Yašt 19, 56. 82): An…hit… è la signora di una grande quantità di xvarənah-; il suo fiume, arədvī ap anāhitā (16), che dalla cima del monte Hukairya scorre giù sino al lago o «mare» Vouru.kaša, contiene tanto xvarənah- quanto tutte le acque della terra (17).

        Esiste un’iconografia classica delle Sirene, riportata a partire dal poderoso e insuperato lavoro dello Schraeder (18), che effigia un personaggio supino nell’atto di congiungersi con una Sirena alata, intesa come «demonìa meridiana» (19), daimonia mesēmbrina. L’iconografia è riportata altrove (20): il personaggio, nudo e barbuto, forse Sileno, ha gli occhi chiusi, è addormentato. Ciò fa presupporre che si tratti di qualcosa legato alla sfera della visione interiore. Le ali della creatura con la quale si congiunge richiamano inoltre la tipica iconografia di hypnos (21). Questa notazione è importante perché permette di collegare il mondo della visione animica (22) con il bagliore noetico, lo xwarrah posseduto dalla dea. Lo xwarrah (parn nei testi in sogdiano) è il primo elemento della pentade luminosa manichea e corrisponde al primo dei figli dello Spirito Vivente, il «custode degli splendori», Phengokatōchos, colui che sorveglia l’accesso alle terre spirituali site al di là dell’universo fenomenico (23). Nel mito greco delle Sirene, l’originario bagliore noetico si è trasmutato in pericolo gnoseologico, in una demonizzazione psicoerotica che sembra condurre l’uomo verso la dissoluzione. Le concezioni escatologiche posteriori all’epica omerica le trasformeranno in divinità dell’aldilà, inneggianti canti per i Beati nelle Isole Fortunate (24). Le Sirene, s’è visto, giungeranno a rappresentare l’armonia delle sfere e a questo titolo saranno spesso raffigurate sui sarcofaghi (25).

        In realtà, per trovare le possibili origini della Sirena bifida dovremmo rifarci alle più antiche origini cristiane e a una cosiddetta «eresia» chiamata gnosticismo. Lo gnosticismo dei primi secoli (dal greco gnōsis, «conoscenza») è un grande fenomeno religioso nel cui alveo sono confluite le più svariate fascinazioni misteriche provenienti dal mondo ellenistico e vicino-orientale, inclini a dimostrare un unico assunto: la «discesa», la  



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katabasis, e l’imprigionamento nel nostro mondo di un principio spirituale superiore, una scintilla luminosa che solo attraverso la vera «conoscenza» l’uomo può riconoscere e ritrovare in se stesso. Un tempo noto unicamente nelle fonti degli avversari, cioè nei Padri della Chiesa che lo combatterono aspramente, anni addietro ha avuto una nuova riscoperta grazie al ritrovamento, nelle sabbie del deserto egiziano presso Nag-Hammadi (l’antica Chenoboskion), di un’importante biblioteca in lingua copta. Si tratta dei cosiddetti manoscritti di Nag-Hammadi, una cospicua serie di trattati gnostici che per la prima volta rivelavano nelle fonti originali gli insegnamenti di quest’antica religione. Dei testi anteriori, quelli avversati dai Padri della Chiesa, uno tra i più significativi è il Kata pasōn aireseōn elenchos di Ippolito di Roma (m. nel 235 d.C.), la «Confutazione di tutte le eresie», come traducono gran parte delle edizioni (26). L’opera è divisa in dieci libri, di cui i primi quattro sono anche noti come Philosophumena, poiché vogliono dimostrare come gli eretici abbiano attinto i loro insegnamenti non già dalla rivelazione cristiana, bensì «dalla sapienza dei pagani». Solo nella seconda parte, cioè nei libri 5-9, sono esposte in dettaglio le eresie, fra le quali sono compresi 33 sistemi gnostici. L’opera è stata scritta dopo il 222 d.C. e le fonti di riferimento originarie, tutte perdute, forse sono sopravvissute in alcuni trattati gnostici ritrovati a Nag-Hammadi.

        Gli Gnostici si spinsero dall’Oriente sino all’Occidente. Il valentiniano Tolomeo e Marco il Mago attraverso la valle del Rodano raggiunsero Lione. Essi facevano proseliti tra il ceto intellettuale, non escluse le donne (Ir. Adv. haer. I, 13, 3), la categoria sociale sicuramente più sensibile nel recepire i profondi mutamenti religiosi del tempo. Nel suo Elenchos Ippolito, tra i numerosi testi, confuta, e quindi rende paradossalmente accessibile ad un più vasto pubblico, il cosiddetto «Libro di Baruch», dello gnostico Giustino, sconosciuto in altre fonti. Il tradizionale schema dualistico, tipico dei sistemi gnostici, è alterato solo in apparenza: ci sono un principio trascendente, il Bene (Agathos); un secondo principio a lui inferiore Padre del Tutto (= Elōeim) e un principio femminile ancora inferiore, Edem (= Terra), per metà donna e per metà animale. Elōeim si unisce a Edem e fra i vari frutti del loro amore essi creano l’uomo, che Elōeim fornisce di spirito ed Edem di anima. Adamo è quindi una singolare mescolanza in cui la parte luminosa e divina deriva da Elōeim, mentre la parte psichica e somatica proviene da Edem. In seguito Elōeim risale al Bene, il primo principio, ed Edem, smarrita la speranza di riaverlo con sé, scatena i suoi angeli. Tra questi un ruolo preponderante è svolto da Naas, eponimo del Serpente, il quale si accanisce contro il mondo, in particolare contro l’uomo, per opprimere così la parte di Elōeim, cioè lo pneuma, lo «spirito», che dimora in ogni essere umano. Un angelo di Elōeim, Baruch, invia una serie di Salvatori (Mosè, i Profeti, Eracle) per liberare lo spirito di Elōeim racchiuso nell’uomo, ma tutti falliscono nell’intento, poiché ingannati e sopraffatti da Naas. Solamente Gesù, tramite la crocefissione ordita da Naas, riesce a separare lo spirito dal corpo psichico e somatico, permettendone il ritorno al mondo luminoso di Elōeim, cioè il Bene.



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        Questo mito presenta caratteri di omogeneità e coerenza non facili da rintracciare in altri sistemi gnostici. Oltre all’evidente apporto del sincretismo, si coglie anche la tendenza a spiegare in chiave unitaria la multiforme vicenda dell’uomo, oppresso da mali di ogni sorta (calamità naturali, malattie, adulteri, divorzi), quale riflesso della lotta cosmica tra Elōeim ed Edem, innestando armonicamente nel complesso mitico e cultuale anche le tradizionali credenze astrologiche. È importante sottolineare come il «Libro di Baruch», pur collocato nella fondamentale prospettiva gnostica, presenti, rispetto agli usuali schemi ontologici, variazioni non trascurabili, soprattutto nella valutazione del rapporto necessario e necessitante tra il peccato, la caduta e la creazione. Giustino parla di tre principî ingenerati, due maschili e uno femminile. Un principio maschile è il Bene, l’altro è il Padre del Tutto, invisibile, Elōeim. L’iracondo principio femminile è invece scisso in «due menti» (dignōmos) e in «due corpi (disōmos): è una specie di Sirena, metà fanciulla e metà serpente, di nome Edem (27). Il Padre Elōeim, vedendo la mixoparthenos, la «metà vergine» per metà fanciulla, viene preso dal desiderio di lei. Troviamo il desueto mixoparthenos in Erodoto: è la fanciulla-serpente a cui si unisce Eracle in una caverna della terra Ilea (28). Il rapporto sessuale con la strana creatura è il prezzo pagato dall’eroe per poter riavere le cavalle che conducono il suo carro celeste. Da questa unione – sempre secondo Erodoto – nascono tre figli (29). Il mito è probabilmente alla base della rielaborazione gnostica fornita dal fantomatico «Libro» di Giustino (30): il coito tra Elōeim ed Edem produce infatti una serie di ventiquattro angeli, dodici appartenenti al padre e dodici della madre Edem. Il loro insieme forma il Paradeisos dove gli angeli sono chiamati allegoricamente «alberi» (31): così l’Albero della Vita sarebbe Baruch il terzo angelo di Elōeim, mentre l’Albero della Conoscenza del Bene e del Male sarebbe Naas, il terzo angelo di Edem. In seguito Elōeim abbandona la «quasi vergine» Edem per salire alle altezze del Padre, il Bene supremo. Piantata in asso, Edem decide di vendicarsi e incarica l’angelo Babele, identificato con la dea greca Afrodite, di provocare adulteri e separazioni fra gli uomini. Il parallelismo è abbastanza chiaro: come Edem è stata separata da Elōeim, così anche lo pneuma di Elōeim celato negli uomini deve soffrire il tormento della separazione e sperimentare nel dolore i medesimi patimenti (32).

        Se nella sovrapposizione tra angeli e alberi paradisiaci si può rinvenire un’eco della condizione di androginia primordiale ed edenica di Adamo (33), è nell’identificazione tra Babele e Afrodite che troviamo i maggiori punti di contatto con la mitologia antica. Figura divina legata all’erotismo e all’ambivalenza sessuale (34), è Afrodite che si incarica di scindere le relazioni umane recidendo il legame androginico (35) prodottosi nella condizione edenica. Non solo, perché nella figura della divinità metà donna e metà serpente troveremo una fonte molto più diretta e proveniente da un ambito cristiano, anche se eterodosso, delle creature bifide delle Pievi altomedievali. Questa rappresentazione è centrale nello gnosticismo e la si ritrova applicata alla figura del Logos, del Salvatore esplicitamente identificato con l’immagine del serpente (36). È Gesù innalzato sulla croce 



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(Giov. 3, 14) come lo fu il Serpente di bronzo (37) di Mosè in Numeri 21, 8-9. Nel libro dello gnostico Giustino l’entità demoniaca Naas, che ha forma di serpente, provoca la crocefissione e la morte di Gesù. Ma proprio questo tragico – e «provvidenziale» – evento permette a Gesù di liberarsi dal vincolo della carne (38), cioè di restituire ad Edem (il principio femminile inferiore e parzialmente negativo) la parte psichica (39) e il corpo materiale, e di liberare lo spirito, che potrà accedere alle dimore celesti, nella pienezza della Luce di Elōeim (40). Come in altri contesti gnostici (41), Gesù è concepito come un mero involucro psicofisico in cui discende, al momento del battesimo, il Salvatore celeste, cioè il Cristo (42).

        Secondo alcuni gnostici, Gesù sarebbe infatti uno strumento demoniaco inviato dalle tenebre ad intrappolare, con il battesimo nelle acque del Caos e della morte, il Salvatore celeste disceso nel mondo fisico43. Questa dicotomia cristologica la ritroviamo nella Parafrasi di Sēem, un’apocalisse gnostica vergata in copto sahidico, ma in realtà tradotta da un archetipo greco, il più esteso ed enigmatico dei cinquantadue trattati ritrovati a Nag-Hammadi. Secondo la Parafrasi di Sēem, la storia della salvezza è segnata dai ripetuti tentativi della Physis demiurgica e del demone Soldas di annientare la stirpe degli uomini spirituali. Lo stratagemma che essi utilizzano per incatenare il genere umano è il vincolo del battesimo, l’immersione nelle acque di morte. Il Diluvio è un primo tentativo di «legare» l’umanità al vincolo della forza «psichica» simboleggiata dall’acqua: il battesimo è dunque immagine del Diluvio. In seguito, l’entità demoniaca Soldas appare nelle acque per battezzare il Salvatore celeste Derdekeas (44) con un battesimo imperfetto, per vincolare e affliggere il mondo con la «schiavitù dell’acqua» (45). Il demone Soldas è il corpo che imprigiona la forza di Luce del Salvatore gnostico. Egli appare nelle acque per battezzare Derdekeas con un battesimo imperfetto, ma allo stesso tempo possiede una Luce spirituale a cui Derdekeas unisce il proprio manto invincibile e l’oggetto della rivelazione, cioè il mezzo di difesa di Sēem e della sua stirpe, la progenie degli Gnostici (46).

        L’opera del Salvatore è quella di raffinare costantemente il mondo, separando gli elementi ignei da quelli acquosi: Saphaina, la «Veridicità», da Molychtha, la «terra contaminata» a figura di Unicorno. Così l’Intelletto non dovrà liquefarsi al contatto con l’acqua, divenendo un pesce, preda della «moltitudine di animali scaturiti da lei (=Physis) secondo il numero degli effimeri venti» (47), cioè dei Segni dello Zodiaco. Occorre quindi pregare verso il Sole di giorno e verso la Luna di notte. È importante ricordare come l’immagine del serpente (48), coniugata alle forze caotiche e demoniache della tenebra, sia una peculiarità dell’antico mondo iranico-mesopotamico. Sulle gemme o amuleti gnostici, uno dei tipi più frequenti di intagli è l’immagine di un personaggio ibrido a testa di gallo, busto umano abbigliato in vesti militari romane (49) (in genere con il solo gonnellino a pieghe), con nelle mani uno scudo e una frusta (50) e dai piedi a forma di serpente, 



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l’anguipede alectorocefalo (51). Sovente questo essere favoloso, nello scudo reca inciso in lettere greche il nome ΙΑΩ = IaŸ (52), probabile vocalizzazione del tetragramma YHWH (53), cioè il nome del Dio dell’Antico Testamento, un personaggio di tutto rilievo nella mitologia e cosmogonia gnostiche (54).

        Un poderoso testo gnostico conosciuto prima delle scoperte di Nag-Hammadi, la Pistis Sophia, parla di un Grande IaŸ, il Buono (55), definito come il grande «priore» (ēgoumenos) (56) del mondo intermedio, e di un Piccolo IaŸ, il Buono (57), dal quale Gesù ha tratto una potenza luminosa che poi ha gettato nel grembo di Elisabetta, la madre di Giovanni Battista. Per suo tramite, il Battista potrà impartire il battesimo con l’acqua della «remissione dei peccati». Etimologicamente collegato a IaŸ c’è un altro importante personaggio divino, Ieu, il Presbeutēs, il Messaggero che predispone le regioni dello Zodiaco. Altri epiteti sono «Uomo primigenio», Episkopos e Angelo della Luce (58). Ieu è «colui che si prende cura» (pronoētos) del mondo inferiore: insieme a Zorokōthora-Melchisedek egli contribuisce a purificare e liberare gli elementi di Luce (59) intrappolati nella hylē e in quest’opera redentrice e catartica è coadiuvato da una fitta schiera di angeli (60). Il quarto libro della Pistis Sophia definisce Ieu come «Padre del Padre di Gesù» (61), palese epiteto dell’Essere supremo. L’origine dell’iconografia mostruosa, così come appare negli intagli e nelle gemme, resta inspiegata. Qualcuno fa riferimento a una creatura simile presente nella mitologia celtica (62). In verità, s’è visto, le sue origini si possono spiegare in base alla cosmologia gnostica. IaŸ rivela un dualismo congenito, innato: la testa di gallo esprime l’essenza di divinità aurorale, emblema del canto mattutino che sconfigge l’oscurità della notte, i piedi anguiformi manifestano la natura tellurica e serpentiforme, rivelata quale dio delle tenebre (63).

        Prova ne è la presenza, su amuleti e gemme gnostiche, di altri animali anguipedi come il cane, il leone e la scimmia (64), sino a giungere a un personaggio in fattezze umane dal capo nimbato con sette raggi (Helios), con lorica e gonnellino militare, dal quale escono le gambe a forma di serpente (65), l’antesignano delle nostre Sirene bifide. Un’ulteriore conferma è la recente scoperta e decrittazione di una lamina d’argento, proveniente dalle province orientali dell’impero romano, raffigurante il gallo anguipede e Persefone (66). La dea è identificata con Hekate e Nemesis, divinità infere che testimoniano il trasmigrare di una iconografia dal mondo tardoantico all’Occidente medievale.







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Note

(1)         O. WEICKER, s.v. «Seirenen», in ROSCHER (Hrsg.), Ausführliches Lexikon, IV, Leipzig 1909-1915, coll. 601-639; H. SICHTERMANN, s.v. «Sirene», in Enciclopedia dell’Arte Antica Classica e Orientale, VII, pp. 341 a-344 b; E. HOFSTETTER-I. KRAUSKOPF, s.v. «Seirenes», in LIMC, VIII/1, pp. 1093 a-1104 b; LIMC, VIII/2, pp. 734-744; L. MANCINI, Il rovinoso incanto. Storie di Sirene antiche, Bologna 2005, pp. 75 ss.
(2)     Una nuova interpretazione del motivo delle Sirene in E. ALBRILE, «Gnostici a Montiglio. Il ricordo dell’antico in una Pieve altomedievale», in Mediaeval Sophia, 11(2012), pp. 32-35.
(3)     J. LECLERCQ-MARX, «Sirènes-poissons romanes. A propos d’un chapiteau de l’église de Herentlez- Louvain», in Revue Belge d’Archéologie et d’Histoire de l’Art, 40 (1971), pp. 1-30; ID., La siréne dans la pensée et dans l’art de l’Antiquité et du Moyen Âge. Du mythe païen au symbole chrétien, Bruxelles 1998; ID., «Du monstre androcéphale au monstre humanisé. À propos des sirènes et des centaures, et de leur famille, dans le haut Moyen Âge et à l’époque romane», in Cahiers de Civilisation Médiévale, 45 (2002), pp. 55-67; ID., «De Pavia à Zagósc. La Sirène comme motif de prédilection des sculpteurs ‘lombards’ au XIIe siècle», in Arte Lombarda, N.S. 104 (2004), pp. 24-32.
(4)     G. PADOAN, s.v. «Sirene», in Enciclopedia Dantesca, V, Roma 1976, pp. 268 b-269 b.
(5)     P. COURCELLE, «Quelques symboles funéraires du néoplatonisme latin», in Revue des Études Anciennes, 46 (1944), pp. 75-97.
(6) Non a caso nell’arte romanica si rilevano anche iconografie di Sirene che allattano, cfr. LECLERCQ-MARX, «Sirènes-poissons romanes», p. 12.
(7)     H. LECLERCQ, s.v. «ΙΧΘΥΣ», in DACL, VII/2, Paris 1927, coll. 2001-2002; cfr. F. J. DÖLGER, ΙΧΘΥΣ. Das Fischsymbol in frühchristlicher Zeit, I-III, Rom-Münster in Westf. 1910-1922.
(8)     Opt. Milev. De schism. donat. 3, 2 (PL 51, 816); E. ALBRILE, «Le Acque e la Morte: riflessioni sulla teologia della Parafrasi di Sēem», in Nicolaus, N.S. 27 (2000), pp. 246-247, nn. 82-87.
(9)     O.J. BRENDEL, Symbolism of the Sphere. A Contribution to the History of Earlier Greek Philosophy (EPRO, 67), Leiden 1977, pp. 52 ss.
(10)   Gervasio di Tilbury, Otia imperialia 3, 64 C (LEIBNITZ, p. 984); LECLERCQ-MARX, «Sirènespoissons romanes», p. 7.
(11)   LECLERCQ-MARX ,«Du monstre androcéphale au monstre humanisé», p. 60.
(12)   O. WEICKER, s.v. «Seirenen», in W.H. ROSCHER (Hrsg.), Ausführliches Lexikon der griechischen und römischen Mythologie, IV, Leipzig 1909-1915, coll. 601-639; E. HOFSTETTERI.KRAUSKOPF, s.v. «Seirenes», in LIMC, VIII/1, Zürich-Düsseldorf 1997, pp. 1093 a-1104 b; LIMC, VIII/2, pp. 734-744; MANCINI, Il rovinoso incanto, pp. 75 ss.
(13)   Vd. la sintesi di GH. GNOLI, s.v. «Farr(ah)», in E. YARSHATER (ed.), Encyclopaedia 



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Iranica, IX, New York 1999, pp. 314 a-315 b.
(14)     Cfr. M. ELIADE, Trattato di storia delle religioni (Universale Scientifica Boringhieri 141/142), Torino 1976, pp. 193 ss., in partic. pp. 199 ss.
(15)     Cfr. G. MANTOVANI, «Eau magique et eau de lumière dans deux textes gnostiques», in J. RIESJ.-M. SEVRIN (eds.), Les objectifs du Colloque de Luvain-la-Neuve «Gnosticisme et monde hellénistique», Institut Orientaliste de Louvain, Louvain-la-Neuve 1980, p. 143; una suggestione, quella di An…hit…, che non è stata ripresa negli «Atti» definitivi del convegno (cfr. G. MANTOVANI, «Acqua magica e acqua di luce in due testi gnostici», in J. RIES [avec la coll. de Y. Janssens et de J.-M. Sevrin], Gnosticisme et monde hellénistique, Actes du Colloque de Louvainla Neuve [Publications de l’Institut Orientaliste de Louvain 27], Louvain-la-Neuve 1982, pp. 429 ss.); su questa dea, che Erodoto testimonia di origine straniera (cfr. GH. GNOLI, s.v «An…hit…», in M. ELIADE [ed.], The Encyclopedia of Religion, I, New York-London 1987, p. 249), si veda l’estesa trattazione in E. YARSHATER (ed.), Encyclopaedia Iranica, I, London 1985, pp. 1003 a-1011 b (articoli di M. BOYCE, M.L. CHAUMONT e C. BIER).
(16)     AirWb, coll. 194-195.
(17)     Yašt 5, 96, tradotto da GH. GNOLI, «Un particolare aspetto del simbolismo della luce nel Mazdeismo e nel Manicheismo», in Annali dell’Istituto Orientale di Napoli, N.S. 12 (1962), p.102; cfr. anche Yašt 5, 121.
(18)     H. SCHRAEDER, Die Sirenen nach ihrer Bedeutung und künstlerischen Darstellung im Altertum, Berlin 1868, pp. 97 ss.
(19)    O. CRUSIUS, «Die Epiphanie der Sirene», in Philologus. N.F. 50 (1891), p. 107; J. MENRAD, Der Urmythus der Odyssee und seine dichterische Erneuerung: Des Sonnengottes Erdenfahrt, München 1910, pp. 29-30; F. GURY, «À propos de l’image des incubes latins», in Mélanges de l’Ecole française de Rome. Antiquité, 110 (1998), p. 1002. Si tratta di un frammento da un rilievo marmoreo posseduto dal «Museum of Fine Arts» di Boston (inv. 08.34c).
(20)   WEICKER, «Seirenen», col. 615; LIMC, VIII/2, p. 741 (fig. 89 b); lo stesso motivo appare su una lucerna di terracotta (LIMC, VIII/2, fig. 89 c).
 (21)   C. LOCHIN, s.v. «Hypnos/Somnus», in LIMC, V/1, Zürich-München 1990, pp. 591 a-593 b; LIMC, V/2, figg. 17-20; 23-26; R. TURCAN, «Dionysos ancien et le sommeil infernal», in Mélanges d’Archéologie et d’Histoire de l’École Française de Rome (MEFRA), 71 (1959), pp. 287-300.
(22)   GH. GNOLI, «Ašavan. Contibuto allo studio del libro di Ard… Wir…z», in GH. GNOLI-A.V. ROSSI (cur.), Iranica (IUO – Seminario di Studi Asiatici, Series Minor X), Napoli 1979, p. 418.
(23)   G. WIDENGREN, Il manicheismo, trad. it. Q. Maffi-E. Luppis, Milano 1964 (ed. or. Stuttgart 1961), p. 69; M. TARDIEU, Il manicheismo, trad. e cur. G. Sfameni Gasparro, Cosenza 19962 (ed. or. Paris 1981), p. 106.
(24)   Cfr. P. GRIMAL, Enciclopedia della mitologia, ed. it. a cura di C. Cordié, Milano 1990 (prima ediz. it. Brescia 1987), p. 571 b.



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(25)   F. CUMONT, Recherches sur le symbolisme funéraire des Romains (Bibliothèque archéologique et historique, t. XXXV), Paris 1942, pp. 325 ss.; P. COURCELLE, «Quelques symboles funéraires du Néo-Platonisme latin», in Revue des Études Anciennes, 46 (1944), pp. 65-93.
(26)   È singolare che questo scritto non sia menzionato né sulla statua, né dagli antichi scrittori, come opera di Ippolito. Il primo libro è noto solo dal 1701, ma andava sotto il nome di Origene; il secondo e terzo libro mancano ancora oggi; quelli dal quattro al dieci furono rintracciati nel 1842 in un vecchio manoscritto greco del monte Athos e pubblicati per la prima volta nel 1851 da E. Miller come opera di Origene; cfr. B. ALTANER, Patrologia, trad. it E. Della Zuanna, Casale Monf. (AL) 19604 (ed. or. Freiburg in Breisgau 1940), p. 114.
(27)     Hipp. Ref. V, 26, 1-2.
(28)     Herod. IV, 9, 1; il termine ricorre anche in Euripide (Ph. 1023) per designare la Sfinge.
(29)     Herod. IV, 9, 3.
(30)    Così sostiene lo stesso Ippolito che fa derivare il mito dall’interpretazione di una favola di Erodoto (IV, 8-10); non è di questa opinione R.Van den Broek nel suo «The Shape of Edem according to Justin the Gnostic», in Vigiliae Christianae, 27 (1973), pp. 37 ss., che fa risalire il mito al culto egizio-ellenistico di Iside-Thermoutis, ipotesi peraltro ammissibile; per le fonti di Giustino gnostico vd. anche E. HAENCHEN, «Das Buch Baruch. Ein Beitrag zum Problem der christlichen Gnosis», in Zeitschrift für Theologie und Kirche, 50 (1953), pp. 131 ss.
(31)   Hipp. Ref. V, 26, 6.
(32)   Hipp. Ref. V, 26, 19-20.
(33)   Cfr. Gen. 1, 27.
(34)   Sulla bisessualità di Afrodite, cfr. in partic. F. GRAF, s.v. «Aphrodite», in DDD, col. 121; e W.H. ROSCHER, s.v. «Aphrodite», in ROSCHER, Ausführliches Lexikon, I/1, Leipzig 1884-1886, coll. 397 ss.
(35)     Vd. in partic. M. DELCOURT, Hermaphroditea. Recherches sur l’être double promoteur de la fertilité dans le monde classique (Collection Latomus, Vol. LXXXVI), Bruxelles 1966, passim.
(36)   Su questa tematica, cfr. E. ALBRILE, «Lo Zodiaco di Santa Fede», in Archivi di Studi Indo-Mediterranei, Dicembre 2011 (http://dl.dropbox.com/u/38899479/Lo Zodiaco di Santa Fede (3).pdf).
(37)   Il passo fa parte dell’esegesi gnostica dei Perati, che descrivono la funzione soteriologica del Serpente originario «vero e perfetto» – identificato con il Logos del Vangelo di Giovanni – con una notevole profusione di allegorie, menzionando anche Caino, «giusto» assassino di un fratello contaminato dai sacrifici cruenti (Hipp. Ref. V, 16, 8 [WENDLAND, II, p. 112, 18 ss.]).
(38)   Sulla tematica gnostica della morte di Gesù come inganno teso al diavolo, cfr. M. SIMONETTI, «La morte di Gesù in Origene», in Rivista di Storia e Letteratura Religiosa, 8 (1972), pp. 40-41.



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(39)   Si tenga presente la tricotomia gnostica che oppone psychē e hylē allo pneuma divino; cfr. anche M. SIMONETTI, «Psyché e Psychikós nella gnosi valentiniana», in Rivista di Storia e Letteratura Religiosa, 2 (1966), pp. 1 ss.
(40)   Hipp. Ref. V, 26, 31-32.
(41)   Cfr. quanto dicono i seguaci di Basilide in Hipp. Ref. VII, 27, 12: «Gesù è diventato la  primizia della separazione delle nature e la sua passione non è avvenuta per altro motivo se non al fine di separare gli elementi che erano mescolati assieme».
(42)   Questa concezione è elemento fondante della teologia ofitica; cfr. in partic. M. SIMONETTI, «Note di cristologia gnostica», in Rivista di Storia e Letteratura Religiosa, 5 (1969), pp. 529-553.
(43)   Cfr. Ir. Adv. haer. 3, 10, 1 ss.; Epiph. Pan. haer. 26, 12, dove si parla di un angelo del demiurgo che ha aspetto asinino; vd. anche l’arconte in sembianze di asino (Onoēl o Thartharaōth) in Origene, Contra Celsum VI, 30, e il famoso graffito del Palatino che raffigura un uomo con testa asinina crocefisso; inoltre, secondo gli gnostici Severiani, la vite, cioè uno dei simboli in cui viene rappresentato il Cristo, sarebbe il risultato dell’unione del seme del Serpente primordiale con la terra (cfr. Epiph. Pan. haer. 45, 1, 4-5).
(44)   Probabilmente dall’aramaico dardaka, «fanciullo»; cfr. G.G. STROUMSA, «Form(s) of God: Some Notes on Meýaýron and Christ», in Harvard Theological Review, 76 (1983), p. 275, n. 31.
(45)   Par. Sēem VII, 30, 21-27; cioè con il vincolo seminale, «spermatico».
(46)   Par. Sēem VII, 30, 30-31, 5.
(47)  Par. Sēem VII, 19, 15-18; ringrazio il prof. Giancarlo Mantovani per l’aiuto nella comprensione di questo difficile testo.
(48)   Cfr. anche R. WÜNSCH, Sethianische Verfluchungstafeln aus Rom, Leipzig 1898, pp. 100-102.
(49)   CAMPBELL BONNER, Studies in Magical Amulets chiefly Graeco-Egyptian, Ann Arbor: The University of Michigan Press 1950, pl. VIII, 162-176; IX, 177-178; la prima identificazione è stata quella con Abraxas, il dio gnostico di cui parla Basilide (e poi Jung!), da cui l’illustrazione che accompagna N. TURCHI, s.v. «Abràxas», in Enciclopedia Cattolica, I, Roma-Firenze: Sansoni 1948, p. 128; fondamentale il lavoro di A. MASTROCINQUE (cur.), Sylloge gemmarum gnosticarum, Parte I (Bollettino di Numismatica – Monografia 8.2.I), Roma 2004, in partic. pp. 269 ss. (gallo anguipede).
(50)   Questa iconografia si spiega con la presenza in un testo gnostico di Nag-Hammadi, l’Apocalisse di Paolo, di angeli fustigatori di anime (NHC, V, 2, 20, 11-12; 22, 7-10 = J.-M. ROSENSTIEHL–M. KALER [eds.], L’Apocalypse de Paul [NH V, 2] [Bibliothèque Copte de Nag Hammadi – Section «Textes», 31], Québec [Canada]-Louvain-Paris-Dudley, MA 2005, pp. 104-105; 108-109); giunte al quarto e al quinto cielo, le anime sono condotte al giudizio da angeli armati di frusta (mastix).
(51)     CAMPBELL BONNER, Studies in Magical Amulets, pp. 123-139; M.P. NILSSON, «The  Anguipede of the Magical Amulets», in Harvard Theological Review, 44 (1951), pp. 



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61-64; A. DELATTE-PH. DERCHAIN, Les intailles magiques gréco-egyptiennes, Paris: Bibliothèque Nationale 1964, pp. 23 ss; M. PHILONENKO, «L’anguipède alectorocéphale et le dieu Iaô», Comptes-rendus de l’Académie des inscriptions et belles-lettres, 123 (1979), pp. 297-304.
(52)   PHILONENKO, «L’anguipède alectorocéphale», p. 298, fig. 1.
(53)   D.E. AUNE, s.v. «Iao», in RAC, XVII, Stuttgart 1994, coll. 1-2; M. PHILONENKO, «Une intaille magique au nom de Iao», in Semitica 30 (1980), pp. 57-60 + pl. III/a.
(54)    AUNE, «Iao», col. 9 ss; cfr. J. MICHL., s.v. «Engel V (Katalog der Engelnamen)», in RAC, V, Stuttgart 1962, col. 216; E. ALBRILE, «La posterità di Iao», in Antonianum, 76 (2001), pp. 521-549.
(55)   PS II, 86 (= C. SCHMIDT-V.MACDERMOT [eds.], Pistis Sophia [Nag Hammadi Studies IX], Leiden 1978, p. 196, 4-5); cfr. Ir. Adv. haer. I, 30, 5, 11; Orig. Contr. Cels. VI, 31; Apocr. Joh.II, 11, 29.
(56)   Il termine è tratto dal lessico monastico; cfr. Nilo di Ancira, Ep. 2, 33 (PG 79, 213 A).
(57)   PS 1, 7 (SCHMIDT-MACDERMOT, Pistis Sophia, p. 12, 11-12); cfr. Ir. Adv. haer. I, 5, 3; 6, 4; 7, 1; Hipp. Ref. VI, 32, 8.
(58)   PS III, 111 (SCHMIDT-MACDERMOT, Pistis Sophia, p. 285, 15; III, 127 (ivi, p. 319, 21); I, 49 (ivi, p. 94, 13-14).
(59)   Così PS I, 25 ss. (SCHMIDT-MACDERMOT, Pistis Sophia, p. 34, 11 ss.); IV, 139 (ivi, p. 360, 14 ss.).
(60)  Cfr. E. ALBRILE, «La gnosi e la trasmutazione del tempo. Appunti sul sincretismo iranico mesopotamico », in Teresianum, 51 (2000), pp. 488 ss.
(61)   PS IV, 136 (SCHMIDT-MACDERMOT, Pistis Sophia, p. 355, 14-15).
(62)   P. LAMBRECHTS, Contributions à l’étude des divinités celtiques, Brugge 1942, pp. 81-99; NILSSON, «The Anguipede», p. 62; PHILONENKO, «L’anguipède alectorocéphale», p. 297.
(63)   PHILONENKO, «L’anguipède alectorocéphale», p. 303.
(64)   MASTROCINQUE (cur.), Sylloge gemmarum gnosticarum, pp. 298-299 (nn. 251-253).
(65)   MASTROCINQUE (cur.), Sylloge gemmarum gnosticarum, p. 299 (n. 254).
(66)   A. MASTROCINQUE, «Laminetta magica in argento raffigurante il gallo anguipede e Persefone», in MHNH, 11 (2011) = Studia Iosepho Ludovico Calvo Oblata, pp. 351-359.