di Ezio Albrile
Tra le presenze costanti nell’immaginario dell’arte romanica, un posto di rilievo è certamente tenuto dalle Sirene. In origine sono creazioni mitologiche dal volto femminile e corpo di uccello (1); più tardi il mondo tardo-antico le raffigurerà come donne nella parte superiore del corpo e pesci nell’inferiore (2). Così farà la cultura medievale (3) riflessa nel poema di Dante, unendo le due rappresentazioni (4). Secondo Ovidio (Met. 5, 551-563) le Sirene, figlie di Acheloo, sarebbero state compagne di Proserpina; il loro numero è indicato dai mitografi ora in due, ora in tre, ora in quattro, così fa il Boccaccio (Gen. deor. 7, 20), e avrebbero avuto sede sulla costa tirrenica. La loro fama è legata soprattutto alla circostanza omerica (Od. 12, 39-54. 158-200): prima del ritorno in patria, Circe mette in guardia Odisseo dal fascino delle Sirene; chi ammaliato ascolta il loro canto dimentica la propria sposa e la dimora natia, per trovare misera morte presso la loro isola. Dalle parole di Omero si capisce che si tratta di due Sirene. Sedute su di un prato fiorito cantano, avendo tutt’intorno le ossa degli uomini morti. Sono onniscienti, capaci di mutare lo scorrere del tempo. Quando Odisseo si avvicina con la nave, il vento si ferma. Le Sirene lo chiamano per nome, narrando le vicende accadute davanti a Troia. Odisseo però ha sigillato le orecchie dei compagni con la cera ed egli stesso si è fatto legare all’albero della nave, solo così può scampare al disastro.
Nella tarda antichità e ancora agli
esordi del cristianesimo è accentuata la relazione tra le Sirene e la morte: si
esalta la forza del cristiano contro ogni errore, paragonandola alla resistenza
di Odisseo alle Sirene. Anche l’albero della nave viene paragonato alla croce.
Già i commentatori tardo-antichi, e naturalmente anche i medievali,
rintracciarono nell’episodio un valore allegorico morale: se i più indicano nel
canto dolcissimo delle Sirene i suadenti e mercenari richiami degli amplessi
femminili (Isid. Etym. 11, 3, 31), non mancano però interpretazioni mistiche
dell’episodio, specie nei sarcofaghi cristiani, anche in senso cristologico (5). La presenza costante in monumenti
e vestigia romaniche è spiegabile anche con un paradigma astrologico. Le due
parti in cui è composto il corpo della Sirena, la fanciulla e i pesci, oltre al
dualismo fra anima e corpo, sono infatti riconducibili ai segni zodiacali della
Vergine e dei Pesci. Entrambe le costellazioni sono a vario titolo coinvolte
nella vicenda cristologica, per la ovvia identificazione tra il segno della
Vergine e la Madonna (6) e tra i
Pesci e Gesù, deducibile dal famoso acrostico (7) ΙΧΘΥΣ = Iēsous Christos Theou Hyios Sōtēr, popolare
anche tramite gli Oracoli Sibillini cristiani (Euseb. Const. or. ad sanct.
coet. 18, 217-250)(8). Ma non
solo, poiché i segni della Vergine e dei Pesci richiamano rispettivamente i
tempi dell’equinozio d’autunno e dell’equinozio di primavera, in uno Zodiaco precessionale
in cui il punto vernale o punto gamma si è spostato nella costellazione dei
Pesci. I due luoghi equinoziali ricordano infine la tragica e duplice vicenda
dell’anima caduta nel mondo e liberata dal Salvatore: le Sirene nel mito platonico
di Ēr (Resp. 10, 614 a
4-616 a
l4) cantando simultaneamente, fanno udire l’armonia delle stelle, cioè
l’armonia delle sfere (9), alle
anime radunate e predisposte a entrare in una nuova esistenza attraverso la
metempsicosi.
2
Cosmograficamente il pensiero medievale
localizzava le Sirene in terre incognite, oltre le Colonne d’Ercole, in mare
Britannico (10), cioè in
quei «mari d’Occidente» (11) ove
prospera un’isola celebrata dal mito, Thule. Ma le Sirene in origine erano metà
donne e metà uccelli (12). Queste
creature fantastiche, demonizzate nella mitologia classica, sono legate
etimologicamente alla radice greca √σερ (σFερ), ovvero all’indoeuropero svar,
da cui dipendono anche il sanscrito sūrya e l’avestico xvarənah- (> pahlavi xwarrah), il potere
fulgureo, lo splendore fiammeggiante, la forza luminosa (13) che nei miti zoroastriani dimora negli abissi del lago o
«mare» Vouru.kaša ed è intimamente relata al simbolismo germinale delle acque (14). Le Sirene sarebbero quindi le
«splendenti», le «rilucenti». D’altronde non è un caso che nella mitologia
iranica proprio una dea, Arədvī Sūrā An…hit… (> pahlavi Ardvīsūr Anāhīd)(15), custodisca una grande quantità di
xvarənah-, preservandolo dai ripetuti attacchi del malvagio
Fraŋrasyian (Yašt 19, 56. 82): An…hit… è la signora di una grande
quantità di xvarənah-; il suo fiume, arədvī ap anāhitā (16), che dalla cima del monte Hukairya scorre
giù sino al lago o «mare» Vouru.kaša, contiene tanto xvarənah- quanto tutte le acque della terra (17).
Esiste un’iconografia classica delle
Sirene, riportata a partire dal poderoso e insuperato lavoro dello Schraeder (18), che effigia un personaggio supino
nell’atto di congiungersi con una Sirena alata, intesa come «demonìa meridiana»
(19), daimonia mesēmbrina.
L’iconografia è riportata altrove (20):
il personaggio, nudo e barbuto, forse Sileno, ha gli occhi chiusi, è
addormentato. Ciò fa presupporre che si tratti di qualcosa legato alla sfera
della visione interiore. Le ali della creatura con la quale si congiunge
richiamano inoltre la tipica iconografia di hypnos (21). Questa
notazione è importante perché permette di collegare il mondo della visione
animica (22) con il bagliore
noetico, lo xwarrah posseduto dalla dea. Lo xwarrah (parn nei testi in sogdiano)
è il primo elemento della pentade luminosa manichea e corrisponde al primo dei
figli dello Spirito Vivente, il «custode degli splendori», Phengokatōchos,
colui che sorveglia l’accesso alle terre spirituali site al di là dell’universo
fenomenico (23). Nel mito greco
delle Sirene, l’originario bagliore noetico si è trasmutato in pericolo
gnoseologico, in una demonizzazione psicoerotica che sembra condurre l’uomo
verso la dissoluzione. Le concezioni escatologiche posteriori all’epica omerica
le trasformeranno in divinità dell’aldilà, inneggianti canti per i Beati nelle
Isole Fortunate (24). Le Sirene, s’è
visto, giungeranno a rappresentare l’armonia delle sfere e a questo titolo
saranno spesso raffigurate sui sarcofaghi (25).
In realtà, per trovare le possibili
origini della Sirena bifida dovremmo rifarci alle più antiche origini cristiane
e a una cosiddetta «eresia» chiamata gnosticismo. Lo gnosticismo dei primi
secoli (dal greco gnōsis, «conoscenza») è un grande fenomeno religioso
nel cui alveo sono confluite le più svariate fascinazioni misteriche
provenienti dal mondo ellenistico e vicino-orientale, inclini a dimostrare un
unico assunto: la «discesa», la
3
katabasis, e l’imprigionamento nel
nostro mondo di un principio spirituale superiore, una scintilla luminosa che
solo attraverso la vera «conoscenza» l’uomo può riconoscere e ritrovare in se
stesso. Un tempo noto unicamente nelle fonti degli avversari, cioè nei Padri
della Chiesa che lo combatterono aspramente, anni addietro ha avuto una nuova
riscoperta grazie al ritrovamento, nelle sabbie del deserto egiziano presso
Nag-Hammadi (l’antica Chenoboskion), di un’importante biblioteca in lingua
copta. Si tratta dei cosiddetti manoscritti di Nag-Hammadi, una cospicua serie
di trattati gnostici che per la prima volta rivelavano nelle fonti originali
gli insegnamenti di quest’antica religione. Dei testi anteriori, quelli
avversati dai Padri della Chiesa, uno tra i più significativi è il Kata
pasōn aireseōn elenchos di Ippolito di Roma (m. nel 235 d.C.), la
«Confutazione di tutte le eresie», come traducono gran parte delle edizioni (26). L’opera è divisa in dieci libri,
di cui i primi quattro sono anche noti come Philosophumena, poiché vogliono
dimostrare come gli eretici abbiano attinto i loro insegnamenti non già dalla
rivelazione cristiana, bensì «dalla sapienza dei pagani». Solo nella seconda
parte, cioè nei libri 5-9, sono esposte in dettaglio le eresie, fra le quali
sono compresi 33 sistemi gnostici. L’opera è stata scritta dopo il 222 d.C. e
le fonti di riferimento originarie, tutte perdute, forse sono sopravvissute in
alcuni trattati gnostici ritrovati a Nag-Hammadi.
Gli Gnostici si spinsero dall’Oriente
sino all’Occidente. Il valentiniano Tolomeo e Marco il Mago attraverso la valle
del Rodano raggiunsero Lione. Essi facevano proseliti tra il ceto
intellettuale, non escluse le donne (Ir. Adv. haer. I, 13, 3), la
categoria sociale sicuramente più sensibile nel recepire i profondi mutamenti religiosi
del tempo. Nel suo Elenchos Ippolito, tra i numerosi testi, confuta, e
quindi rende paradossalmente accessibile ad un più vasto pubblico, il
cosiddetto «Libro di Baruch», dello gnostico Giustino, sconosciuto in altre
fonti. Il tradizionale schema dualistico, tipico dei sistemi gnostici, è
alterato solo in apparenza: ci sono un principio trascendente, il Bene (Agathos);
un secondo principio a lui inferiore Padre del Tutto (= Elōeim) e un principio
femminile ancora inferiore, Edem (= Terra), per metà donna e per metà animale.
Elōeim si unisce a Edem e fra i vari frutti del loro amore essi creano l’uomo,
che Elōeim fornisce di spirito ed Edem di anima. Adamo è quindi una singolare
mescolanza in cui la parte luminosa e divina deriva da Elōeim, mentre la parte
psichica e somatica proviene da Edem. In seguito Elōeim risale al Bene, il
primo principio, ed Edem, smarrita la speranza di riaverlo con sé, scatena i
suoi angeli. Tra questi un ruolo preponderante è svolto da Naas, eponimo del
Serpente, il quale si accanisce contro il mondo, in particolare contro l’uomo,
per opprimere così la parte di Elōeim, cioè lo pneuma, lo «spirito», che
dimora in ogni essere umano. Un angelo di Elōeim, Baruch, invia una serie di
Salvatori (Mosè, i Profeti, Eracle) per liberare lo spirito di Elōeim racchiuso
nell’uomo, ma tutti falliscono nell’intento, poiché ingannati e sopraffatti da
Naas. Solamente Gesù, tramite la crocefissione ordita da Naas, riesce a
separare lo spirito dal corpo psichico e somatico, permettendone il ritorno al
mondo luminoso di Elōeim, cioè il Bene.
4
Questo mito presenta caratteri di
omogeneità e coerenza non facili da rintracciare in altri sistemi gnostici.
Oltre all’evidente apporto del sincretismo, si coglie anche la tendenza a spiegare
in chiave unitaria la multiforme vicenda dell’uomo, oppresso da mali di ogni
sorta (calamità naturali, malattie, adulteri, divorzi), quale riflesso della
lotta cosmica tra Elōeim ed Edem, innestando armonicamente nel complesso mitico
e cultuale anche le tradizionali credenze astrologiche. È importante
sottolineare come il «Libro di Baruch», pur collocato nella fondamentale
prospettiva gnostica, presenti, rispetto agli usuali schemi ontologici,
variazioni non trascurabili, soprattutto nella valutazione del rapporto necessario
e necessitante tra il peccato, la caduta e la creazione. Giustino parla di tre
principî ingenerati, due maschili e uno femminile. Un principio maschile è il
Bene, l’altro è il Padre del Tutto, invisibile, Elōeim. L’iracondo principio
femminile è invece scisso in «due menti» (dignōmos) e in «due corpi (disōmos):
è una specie di Sirena, metà fanciulla e metà serpente, di nome Edem (27). Il Padre Elōeim, vedendo la mixoparthenos,
la «metà vergine» per metà fanciulla, viene preso dal desiderio di lei.
Troviamo il desueto mixoparthenos
in Erodoto: è la fanciulla-serpente a cui si unisce Eracle in una
caverna della terra Ilea (28). Il
rapporto sessuale con la strana creatura è il prezzo pagato dall’eroe per poter
riavere le cavalle che conducono il suo carro celeste. Da questa unione – sempre
secondo Erodoto – nascono tre figli (29).
Il mito è probabilmente alla base della rielaborazione gnostica fornita dal
fantomatico «Libro» di Giustino (30):
il coito tra Elōeim ed Edem produce infatti una serie di ventiquattro angeli,
dodici appartenenti al padre e dodici della madre Edem. Il loro insieme forma
il Paradeisos dove gli angeli sono chiamati allegoricamente «alberi» (31): così l’Albero della Vita sarebbe
Baruch il terzo angelo di Elōeim, mentre l’Albero della Conoscenza del Bene e
del Male sarebbe Naas, il terzo angelo di Edem. In seguito Elōeim abbandona la
«quasi vergine» Edem per salire alle altezze del Padre, il Bene supremo.
Piantata in asso, Edem decide di vendicarsi e incarica l’angelo Babele,
identificato con la dea greca Afrodite, di provocare adulteri e separazioni fra
gli uomini. Il parallelismo è abbastanza chiaro: come Edem è stata separata da
Elōeim, così anche lo pneuma di Elōeim celato negli uomini deve soffrire
il tormento della separazione e sperimentare nel dolore i medesimi patimenti (32).
Se nella sovrapposizione tra angeli e
alberi paradisiaci si può rinvenire un’eco della condizione di androginia
primordiale ed edenica di Adamo (33),
è nell’identificazione tra Babele e Afrodite che troviamo i maggiori punti di
contatto con la mitologia antica. Figura divina legata all’erotismo e
all’ambivalenza sessuale (34), è
Afrodite che si incarica di scindere le relazioni umane recidendo il legame
androginico (35) prodottosi nella
condizione edenica. Non solo, perché nella figura della divinità metà donna e
metà serpente troveremo una fonte molto più diretta e proveniente da un ambito
cristiano, anche se eterodosso, delle creature bifide delle Pievi
altomedievali. Questa rappresentazione è centrale nello gnosticismo e la si
ritrova applicata alla figura del Logos, del Salvatore esplicitamente
identificato con l’immagine del serpente (36).
È Gesù innalzato sulla croce
5
(Giov. 3, 14) come lo fu il Serpente di
bronzo (37) di Mosè in Numeri 21,
8-9. Nel libro dello gnostico Giustino l’entità demoniaca Naas, che ha forma di
serpente, provoca la crocefissione e la morte di Gesù. Ma proprio questo
tragico – e «provvidenziale» – evento permette a Gesù di liberarsi dal vincolo
della carne (38), cioè di restituire
ad Edem (il principio femminile inferiore e parzialmente negativo) la parte
psichica (39) e il corpo materiale, e
di liberare lo spirito, che potrà accedere alle dimore celesti, nella pienezza
della Luce di Elōeim (40). Come in
altri contesti gnostici (41), Gesù è
concepito come un mero involucro psicofisico in cui discende, al momento del
battesimo, il Salvatore celeste, cioè il Cristo (42).
Secondo alcuni gnostici, Gesù sarebbe
infatti uno strumento demoniaco inviato dalle tenebre ad intrappolare, con il
battesimo nelle acque del Caos e della morte, il Salvatore celeste disceso nel
mondo fisico43. Questa dicotomia cristologica la ritroviamo nella Parafrasi
di Sēem, un’apocalisse gnostica vergata in copto sahidico, ma in realtà
tradotta da un archetipo greco, il più esteso ed enigmatico dei cinquantadue
trattati ritrovati a Nag-Hammadi. Secondo la Parafrasi di Sēem, la
storia della salvezza è segnata dai ripetuti tentativi della Physis demiurgica
e del demone Soldas di annientare la stirpe degli
uomini spirituali. Lo
stratagemma che essi utilizzano per incatenare il genere umano è il vincolo del
battesimo, l’immersione nelle acque di morte. Il Diluvio è un primo tentativo
di «legare» l’umanità al vincolo della forza «psichica» simboleggiata
dall’acqua: il battesimo è dunque immagine del Diluvio. In seguito, l’entità
demoniaca Soldas appare nelle acque per battezzare il Salvatore celeste
Derdekeas (44) con un battesimo
imperfetto, per vincolare e affliggere il mondo con la «schiavitù dell’acqua» (45). Il demone Soldas è il corpo che imprigiona
la forza di Luce del Salvatore gnostico. Egli appare nelle acque per battezzare
Derdekeas con un battesimo imperfetto, ma allo stesso tempo possiede una Luce
spirituale a cui Derdekeas unisce il proprio manto invincibile e l’oggetto della
rivelazione, cioè il mezzo di difesa di Sēem e della sua stirpe, la progenie degli
Gnostici (46).
L’opera del Salvatore è quella di
raffinare costantemente il mondo, separando gli elementi ignei da quelli
acquosi: Saphaina, la «Veridicità», da Molychtha, la «terra contaminata» a
figura di Unicorno. Così l’Intelletto non dovrà liquefarsi al contatto con
l’acqua, divenendo un pesce, preda della «moltitudine di animali scaturiti da
lei (=Physis) secondo il numero degli effimeri venti» (47), cioè dei Segni dello Zodiaco.
Occorre quindi pregare verso il Sole di giorno e verso la Luna di notte. È
importante ricordare come l’immagine del serpente (48), coniugata alle forze caotiche e demoniache della tenebra, sia
una peculiarità dell’antico mondo iranico-mesopotamico. Sulle gemme o amuleti
gnostici, uno dei tipi più frequenti di intagli è l’immagine di un personaggio
ibrido a testa di gallo, busto umano abbigliato in vesti militari romane (49) (in genere con il solo gonnellino a
pieghe), con nelle mani uno scudo e una frusta (50) e dai piedi a forma di serpente,
6
l’anguipede alectorocefalo (51). Sovente questo essere favoloso,
nello scudo reca inciso in lettere greche il nome ΙΑΩ = IaŸ (52), probabile vocalizzazione del
tetragramma YHWH (53), cioè il nome
del Dio dell’Antico Testamento, un personaggio di tutto rilievo nella mitologia
e cosmogonia gnostiche (54).
Un
poderoso testo gnostico conosciuto prima delle scoperte di Nag-Hammadi, la Pistis
Sophia, parla di un Grande IaŸ, il Buono (55), definito come il grande «priore» (ēgoumenos) (56) del mondo intermedio, e di un
Piccolo IaŸ, il Buono (57), dal
quale Gesù ha tratto una potenza luminosa che poi ha gettato nel grembo di
Elisabetta, la madre di Giovanni Battista. Per suo tramite, il Battista potrà
impartire il battesimo con l’acqua della «remissione dei peccati».
Etimologicamente collegato a IaŸ c’è un altro importante personaggio divino,
Ieu, il Presbeutēs, il Messaggero che predispone le regioni dello
Zodiaco. Altri epiteti sono «Uomo primigenio», Episkopos e Angelo della
Luce (58). Ieu è «colui che si
prende cura» (pronoētos) del mondo inferiore: insieme a Zorokōthora-Melchisedek
egli contribuisce a purificare e liberare gli elementi di Luce (59) intrappolati nella hylē e
in quest’opera redentrice e catartica è coadiuvato da una fitta schiera di
angeli (60). Il quarto libro della Pistis
Sophia definisce Ieu come «Padre del Padre di Gesù» (61), palese epiteto dell’Essere supremo. L’origine
dell’iconografia mostruosa, così come appare negli intagli e nelle gemme, resta
inspiegata. Qualcuno fa riferimento a una creatura simile presente nella
mitologia celtica (62). In verità,
s’è visto, le sue origini si possono spiegare in base alla cosmologia gnostica.
IaŸ rivela un dualismo congenito, innato: la testa di gallo esprime l’essenza
di divinità aurorale, emblema del canto mattutino che sconfigge l’oscurità
della notte, i piedi anguiformi manifestano la natura tellurica e serpentiforme,
rivelata quale dio delle tenebre (63).
Prova ne è la presenza, su amuleti e
gemme gnostiche, di altri animali anguipedi come il cane, il leone e la scimmia
(64), sino a giungere a un
personaggio in fattezze umane dal capo nimbato con sette raggi (Helios), con
lorica e gonnellino militare, dal quale escono le gambe a forma di serpente (65), l’antesignano delle nostre Sirene
bifide. Un’ulteriore conferma è la recente scoperta e decrittazione di una
lamina d’argento, proveniente dalle province orientali dell’impero romano, raffigurante
il gallo anguipede e Persefone (66).
La dea è identificata con Hekate e Nemesis, divinità infere che testimoniano il
trasmigrare di una iconografia dal mondo tardoantico all’Occidente medievale.
7
Note
(1) O. WEICKER, s.v. «Seirenen», in
ROSCHER (Hrsg.), Ausführliches Lexikon, IV, Leipzig 1909-1915, coll. 601-639; H. SICHTERMANN, s.v. «Sirene», in Enciclopedia
dell’Arte Antica Classica e Orientale, VII, pp. 341 a-344 b; E. HOFSTETTER-I.
KRAUSKOPF, s.v. «Seirenes», in LIMC, VIII/1, pp. 1093 a-1104 b; LIMC,
VIII/2, pp. 734-744; L. MANCINI, Il rovinoso incanto. Storie di Sirene antiche,
Bologna 2005, pp. 75 ss.
(2) Una nuova interpretazione del motivo delle
Sirene in E. ALBRILE, «Gnostici a Montiglio. Il ricordo dell’antico in una Pieve
altomedievale», in Mediaeval Sophia, 11(2012), pp. 32-35.
(3) J. LECLERCQ-MARX, «Sirènes-poissons
romanes. A propos d’un chapiteau de l’église de Herentlez- Louvain», in Revue
Belge d’Archéologie et d’Histoire de l’Art, 40 (1971), pp. 1-30; ID., La
siréne dans la pensée et dans l’art de l’Antiquité et du Moyen Âge. Du mythe
païen au symbole chrétien, Bruxelles 1998; ID., «Du monstre androcéphale au
monstre humanisé. À propos des sirènes et des centaures, et de leur famille,
dans le haut Moyen Âge et à l’époque romane», in Cahiers de Civilisation
Médiévale, 45 (2002), pp. 55-67; ID., «De Pavia à Zagósc. La Sirène comme motif de prédilection des sculpteurs
‘lombards’ au XIIe siècle», in Arte Lombarda, N.S. 104 (2004), pp.
24-32.
(4) G. PADOAN, s.v. «Sirene», in Enciclopedia
Dantesca, V, Roma 1976, pp. 268 b-269 b.
(5) P. COURCELLE, «Quelques symboles funéraires
du néoplatonisme latin», in Revue des Études Anciennes, 46 (1944), pp.
75-97.
(6) Non a caso
nell’arte romanica si rilevano anche iconografie di Sirene che allattano, cfr. LECLERCQ-MARX,
«Sirènes-poissons romanes», p. 12.
(7) H. LECLERCQ, s.v. «ΙΧΘΥΣ», in DACL, VII/2, Paris
1927, coll. 2001-2002; cfr. F. J. DÖLGER, ΙΧΘΥΣ. Das Fischsymbol in
frühchristlicher Zeit, I-III, Rom-Münster in Westf. 1910-1922.
(8) Opt. Milev. De schism. donat. 3, 2 (PL
51, 816); E. ALBRILE, «Le Acque e la Morte: riflessioni sulla teologia
della Parafrasi di Sēem», in Nicolaus, N.S. 27 (2000), pp.
246-247, nn. 82-87.
(9) O.J.
BRENDEL, Symbolism of the Sphere. A Contribution to the History of Earlier
Greek Philosophy (EPRO, 67), Leiden
1977, pp. 52 ss.
(10) Gervasio di Tilbury, Otia imperialia 3,
64 C
(LEIBNITZ, p. 984); LECLERCQ-MARX, «Sirènespoissons romanes», p. 7.
(11) LECLERCQ-MARX ,«Du monstre androcéphale au
monstre humanisé», p. 60.
(12) O. WEICKER, s.v. «Seirenen», in W.H.
ROSCHER (Hrsg.), Ausführliches Lexikon der griechischen und römischen
Mythologie, IV, Leipzig 1909-1915, coll. 601-639; E. HOFSTETTERI.KRAUSKOPF, s.v. «Seirenes», in LIMC, VIII/1,
Zürich-Düsseldorf 1997, pp. 1093 a-1104 b; LIMC, VIII/2, pp. 734-744;
MANCINI, Il rovinoso incanto, pp. 75 ss.
(13) Vd. la sintesi di GH. GNOLI, s.v.
«Farr(ah)», in E. YARSHATER (ed.), Encyclopaedia
8
Iranica, IX, New York
1999, pp. 314 a-315 b.
(14) Cfr. M. ELIADE, Trattato di storia delle
religioni (Universale Scientifica Boringhieri 141/142), Torino 1976, pp. 193 ss., in
partic. pp. 199 ss.
(15) Cfr. G. MANTOVANI, «Eau magique et eau de
lumière dans deux textes gnostiques», in J. RIESJ.-M. SEVRIN (eds.), Les
objectifs du Colloque de Luvain-la-Neuve «Gnosticisme et monde hellénistique»,
Institut Orientaliste de Louvain, Louvain-la-Neuve 1980, p. 143; una
suggestione, quella di An…hit…, che non è stata ripresa negli «Atti» definitivi
del convegno (cfr. G. MANTOVANI, «Acqua magica e acqua di luce in due testi
gnostici», in J. RIES [avec la coll. de Y. Janssens et de J.-M. Sevrin], Gnosticisme
et monde hellénistique, Actes du Colloque de Louvainla Neuve [Publications
de l’Institut Orientaliste de Louvain 27], Louvain-la-Neuve 1982, pp. 429 ss.);
su questa dea, che Erodoto testimonia di origine straniera (cfr. GH. GNOLI, s.v
«An…hit…», in M. ELIADE [ed.], The Encyclopedia of Religion, I, New
York-London 1987, p. 249), si veda l’estesa trattazione in E. YARSHATER (ed.), Encyclopaedia
Iranica, I, London 1985, pp. 1003 a-1011 b (articoli di M. BOYCE, M.L. CHAUMONT
e C. BIER).
(16) AirWb, coll. 194-195.
(17) Yašt 5, 96, tradotto da GH. GNOLI,
«Un particolare aspetto del simbolismo della luce nel Mazdeismo e nel Manicheismo», in
Annali dell’Istituto Orientale di Napoli, N.S. 12 (1962), p.102; cfr. anche Yašt 5, 121.
(18) H. SCHRAEDER, Die Sirenen nach ihrer
Bedeutung und künstlerischen Darstellung im Altertum, Berlin 1868, pp. 97 ss.
(19) O. CRUSIUS, «Die Epiphanie der Sirene», in Philologus.
N.F. 50 (1891), p. 107; J. MENRAD, Der Urmythus der Odyssee und seine dichterische Erneuerung: Des
Sonnengottes Erdenfahrt, München 1910, pp. 29-30; F. GURY, «À propos de l’image des incubes
latins», in Mélanges de l’Ecole française de Rome.
Antiquité, 110 (1998), p. 1002. Si tratta
di un frammento da un rilievo marmoreo posseduto dal
«Museum of Fine Arts» di Boston (inv. 08.34c).
(20) WEICKER, «Seirenen», col. 615; LIMC,
VIII/2, p. 741 (fig. 89 b); lo stesso motivo appare su una lucerna di terracotta (LIMC,
VIII/2, fig. 89 c).
(21) C. LOCHIN, s.v. «Hypnos/Somnus», in LIMC,
V/1, Zürich-München 1990, pp. 591 a-593 b; LIMC, V/2, figg. 17-20; 23-26; R. TURCAN, «Dionysos ancien et le sommeil
infernal», in Mélanges d’Archéologie et d’Histoire de l’École Française de Rome (MEFRA), 71
(1959), pp. 287-300.
(22) GH. GNOLI, «Ašavan. Contibuto allo studio del
libro di Ard… Wir…z», in GH. GNOLI-A.V. ROSSI (cur.), Iranica (IUO –
Seminario di Studi Asiatici, Series Minor X), Napoli 1979, p. 418.
(23) G. WIDENGREN, Il manicheismo, trad.
it. Q. Maffi-E. Luppis, Milano 1964 (ed. or. Stuttgart 1961), p. 69; M. TARDIEU, Il
manicheismo, trad. e cur. G. Sfameni Gasparro, Cosenza 19962 (ed. or. Paris
1981), p. 106.
(24) Cfr. P. GRIMAL, Enciclopedia della
mitologia, ed. it. a cura di C. Cordié, Milano 1990 (prima ediz. it. Brescia
1987), p. 571 b.
9
(25) F. CUMONT, Recherches sur le symbolisme
funéraire des Romains (Bibliothèque archéologique et historique, t. XXXV), Paris
1942, pp. 325 ss.; P. COURCELLE, «Quelques symboles funéraires du
Néo-Platonisme latin», in Revue des Études Anciennes, 46 (1944), pp.
65-93.
(26) È singolare che questo scritto non sia
menzionato né sulla statua, né dagli antichi scrittori, come opera di Ippolito.
Il primo libro è noto solo dal 1701, ma andava sotto il nome di Origene; il secondo
e terzo libro mancano ancora oggi; quelli dal quattro al dieci furono
rintracciati nel 1842 in
un vecchio manoscritto greco del monte Athos e pubblicati per la prima volta
nel 1851 da E. Miller come opera di Origene; cfr. B. ALTANER, Patrologia,
trad. it E. Della Zuanna, Casale Monf. (AL) 19604 (ed. or. Freiburg in Breisgau 1940), p. 114.
(27) Hipp. Ref. V, 26, 1-2.
(28) Herod. IV,
9, 1; il termine ricorre anche in Euripide (Ph. 1023) per designare la
Sfinge.
(29) Herod. IV, 9, 3.
(30) Così sostiene lo stesso Ippolito che fa
derivare il mito dall’interpretazione di una favola di Erodoto (IV, 8-10); non è di
questa opinione R.Van den Broek nel suo «The Shape of Edem according to Justin the
Gnostic», in Vigiliae Christianae, 27 (1973), pp. 37 ss., che fa
risalire il mito al culto egizio-ellenistico
di Iside-Thermoutis, ipotesi peraltro ammissibile; per le fonti di Giustino gnostico vd. anche E.
HAENCHEN, «Das Buch Baruch. Ein Beitrag zum Problem der christlichen Gnosis», in Zeitschrift für Theologie und Kirche, 50
(1953), pp. 131 ss.
(31) Hipp. Ref. V, 26, 6.
(32) Hipp. Ref. V, 26, 19-20.
(33) Cfr. Gen. 1, 27.
(34) Sulla bisessualità di Afrodite, cfr. in
partic. F. GRAF, s.v. «Aphrodite», in DDD, col. 121; e W.H. ROSCHER, s.v. «Aphrodite», in ROSCHER, Ausführliches
Lexikon, I/1, Leipzig
1884-1886, coll. 397 ss.
(35) Vd. in partic. M. DELCOURT, Hermaphroditea.
Recherches sur l’être double promoteur de la fertilité dans le monde classique (Collection Latomus, Vol. LXXXVI), Bruxelles 1966, passim.
(36) Su questa tematica, cfr. E. ALBRILE, «Lo
Zodiaco di Santa Fede», in Archivi di Studi Indo-Mediterranei, Dicembre
2011 (http://dl.dropbox.com/u/38899479/Lo Zodiaco di Santa Fede (3).pdf).
(37) Il passo fa parte dell’esegesi gnostica dei
Perati, che descrivono la funzione soteriologica del Serpente originario «vero e
perfetto» – identificato con il Logos del Vangelo di Giovanni – con una
notevole profusione di allegorie, menzionando anche Caino, «giusto» assassino
di un fratello contaminato dai sacrifici cruenti (Hipp. Ref. V, 16, 8 [WENDLAND, II,
p. 112, 18 ss.]).
(38) Sulla tematica gnostica della morte di Gesù
come inganno teso al diavolo, cfr. M. SIMONETTI, «La morte di Gesù in Origene»,
in Rivista di Storia e Letteratura Religiosa, 8 (1972), pp. 40-41.
10
(39) Si tenga presente la tricotomia gnostica che
oppone psychē e hylē allo pneuma divino; cfr. anche M. SIMONETTI, «Psyché e
Psychikós nella gnosi valentiniana», in Rivista di Storia e Letteratura Religiosa, 2 (1966), pp. 1 ss.
(40) Hipp. Ref. V, 26, 31-32.
(41) Cfr. quanto dicono i seguaci di Basilide in
Hipp. Ref. VII, 27, 12: «Gesù è diventato la primizia della separazione delle nature e la
sua passione non è avvenuta per altro motivo se non al fine di separare gli
elementi che erano mescolati assieme».
(42) Questa concezione è elemento fondante della
teologia ofitica; cfr. in partic. M. SIMONETTI, «Note di cristologia gnostica»,
in Rivista di Storia e Letteratura Religiosa, 5 (1969), pp. 529-553.
(43) Cfr. Ir. Adv. haer. 3, 10, 1 ss.;
Epiph. Pan. haer. 26, 12, dove si parla di un angelo del demiurgo che ha
aspetto asinino; vd. anche l’arconte in sembianze di asino (Onoēl o Thartharaōth)
in Origene, Contra Celsum VI, 30, e il famoso graffito del Palatino che
raffigura un uomo con testa asinina crocefisso; inoltre, secondo gli gnostici
Severiani, la vite, cioè uno dei simboli in cui viene rappresentato il Cristo,
sarebbe il risultato dell’unione del seme del Serpente primordiale con la terra
(cfr. Epiph. Pan. haer. 45, 1, 4-5).
(44) Probabilmente dall’aramaico dardaka,
«fanciullo»; cfr. G.G. STROUMSA, «Form(s) of God: Some Notes on Meýaýron and Christ», in Harvard Theological Review,
76 (1983), p. 275, n. 31.
(45) Par. Sēem VII, 30, 21-27; cioè con il
vincolo seminale, «spermatico».
(46) Par. Sēem VII, 30, 30-31, 5.
(47) Par. Sēem VII, 19, 15-18; ringrazio il
prof. Giancarlo Mantovani per l’aiuto nella comprensione di questo difficile
testo.
(48) Cfr. anche R. WÜNSCH, Sethianische
Verfluchungstafeln aus Rom, Leipzig 1898, pp. 100-102.
(49) CAMPBELL BONNER, Studies in Magical
Amulets chiefly Graeco-Egyptian, Ann Arbor: The University of Michigan
Press 1950, pl. VIII, 162-176; IX, 177-178; la
prima identificazione è stata quella con Abraxas, il dio gnostico di cui parla
Basilide (e poi Jung!), da cui l’illustrazione che accompagna N. TURCHI, s.v.
«Abràxas», in Enciclopedia Cattolica, I, Roma-Firenze: Sansoni 1948, p.
128; fondamentale il lavoro di A. MASTROCINQUE (cur.), Sylloge gemmarum gnosticarum,
Parte I (Bollettino di Numismatica – Monografia 8.2.I), Roma 2004, in partic. pp. 269
ss. (gallo anguipede).
(50) Questa iconografia si spiega con la presenza
in un testo gnostico di Nag-Hammadi, l’Apocalisse di Paolo, di angeli
fustigatori di anime (NHC, V, 2, 20, 11-12; 22, 7-10 = J.-M. ROSENSTIEHL–M.
KALER [eds.], L’Apocalypse de Paul [NH V, 2] [Bibliothèque Copte de Nag Hammadi
– Section «Textes», 31], Québec [Canada]-Louvain-Paris-Dudley, MA 2005, pp.
104-105; 108-109); giunte al quarto e al quinto cielo, le anime sono condotte
al giudizio da angeli armati di frusta (mastix).
(51) CAMPBELL BONNER, Studies in Magical
Amulets, pp. 123-139; M.P. NILSSON, «The Anguipede of the Magical Amulets», in Harvard
Theological Review, 44 (1951), pp.
11
61-64; A. DELATTE-PH. DERCHAIN, Les
intailles magiques gréco-egyptiennes, Paris: Bibliothèque Nationale 1964,
pp. 23 ss; M. PHILONENKO, «L’anguipède alectorocéphale et le dieu Iaô», Comptes-rendus
de l’Académie des inscriptions et belles-lettres, 123 (1979), pp. 297-304.
(52) PHILONENKO, «L’anguipède alectorocéphale», p.
298, fig. 1.
(53) D.E. AUNE, s.v. «Iao», in RAC,
XVII, Stuttgart
1994, coll. 1-2; M. PHILONENKO, «Une intaille magique au nom de Iao», in Semitica 30 (1980), pp. 57-60 + pl.
III/a.
(54) AUNE, «Iao», col. 9 ss; cfr. J. MICHL., s.v.
«Engel V (Katalog der Engelnamen)», in RAC, V, Stuttgart 1962, col.
216; E. ALBRILE, «La posterità di Iao», in Antonianum, 76 (2001),
pp. 521-549.
(55) PS II, 86 (= C. SCHMIDT-V.MACDERMOT
[eds.], Pistis Sophia [Nag Hammadi Studies IX], Leiden 1978, p. 196,
4-5); cfr. Ir. Adv. haer. I, 30, 5, 11;
Orig. Contr. Cels. VI, 31; Apocr. Joh.II, 11, 29.
(56) Il termine è tratto dal lessico monastico; cfr. Nilo di
Ancira, Ep. 2, 33 (PG 79, 213 A).
(57) PS 1, 7 (SCHMIDT-MACDERMOT, Pistis
Sophia, p. 12, 11-12); cfr. Ir. Adv. haer. I, 5, 3; 6, 4; 7, 1;
Hipp. Ref. VI, 32, 8.
(58) PS III, 111 (SCHMIDT-MACDERMOT, Pistis
Sophia, p. 285, 15; III, 127 (ivi, p. 319, 21); I, 49 (ivi,
p. 94, 13-14).
(59) Così PS I, 25 ss. (SCHMIDT-MACDERMOT, Pistis
Sophia, p. 34, 11 ss.); IV, 139 (ivi, p. 360, 14 ss.).
(60) Cfr. E. ALBRILE, «La gnosi e la
trasmutazione del tempo. Appunti sul sincretismo iranico mesopotamico », in Teresianum,
51 (2000), pp. 488 ss.
(61) PS IV, 136 (SCHMIDT-MACDERMOT, Pistis
Sophia, p. 355, 14-15).
(62) P. LAMBRECHTS, Contributions à l’étude des
divinités celtiques, Brugge 1942, pp. 81-99; NILSSON, «The Anguipede», p.
62; PHILONENKO, «L’anguipède alectorocéphale», p. 297.
(63) PHILONENKO, «L’anguipède alectorocéphale», p.
303.
(64) MASTROCINQUE (cur.), Sylloge gemmarum
gnosticarum, pp. 298-299 (nn. 251-253).
(65) MASTROCINQUE (cur.), Sylloge gemmarum
gnosticarum, p. 299 (n. 254).
(66) A. MASTROCINQUE, «Laminetta magica in argento
raffigurante il gallo anguipede e Persefone», in MHNH, 11 (2011) = Studia
Iosepho Ludovico Calvo Oblata, pp. 351-359.
Citerò l'art. nel mio libro IL RE PESCATORE E IL PESCE D'ORO, che spero di pubblicare non appena sarà pronta l'ultima stesura del testo. Colla Tua Prefazione, ovviamente.
RispondiEliminaL'art. è ottimo, Ti faccio solo un appunto. Ho notato che insisti sulla tesi del Kerényi che le Sirene erano anticamente uccelli e sono diventati pesci, sulla base sei reperti iconografici rinvenuti. In questa maniera non si potrebbe mai esser sicuri di esser nel giusto in nulla, perché basterebbe trovare un reperto più antico per dimostrare il contrario. Il rinvenimento dei reperti è casuale, quindi pogggiandosi su di questi si fa dello storicismo, non della storia. Ne convieni? D'altra parte non esiste altra forma mitologica che mostri in parallelo una trasformazione del genere, che credo personalmente non sia in realtà mai avvenuta. Nel mio art. IL MITO DEL GOKARNA (cfr. il blog 'Alle pendici del Meru') sostenevo, a mia volta, l'esatto contario ossia la trasformazione in Uccelli. Tuttavia, ripensandoci, credo siamo in errore entrambi - non è per 'captatio benevolentiae' che dico ciò - essendo assai probabile che si tratti di due manifestazioni simboliche coeve. Le Apsaras indiane, equivalenti delle Sirene, hanno forma pescina, ma non mi pare mai di uccelli. Tuttavia equivalgono alle Kinnari, le femmine dei Kinnara, che hanno forma aviaria. Perciò, è evidente che abbiamo a che fare in entrambi i casi con raffigurazioni proprie del paradiso evaico. Per tal motivo, immagino tanto le Sirene quanto le Apsaras sono associate alla danza. Nel mondo hawaiano (Hawai-ki = 'Terra di Hawwa, cioè Eva), non per niente, sono sempre perdurate le danze stagionali in favore degli astri. Specialmente la Luna, della quale le Sirene rappresentavano forse primordialmenbte le fasi. Sei d'accordo?