martedì 18 agosto 2015

IL VIAGGIO DEGLI ADAMITI ALL'EMISFERO AUSTRALE- I



 di H.Mriga 



a)       Il Ciclo Adamico ed il Ciclo Evaico


                   La cosmografia biblica è assai limitata, adattando la storia dell’origine dell’uomo al mondo ebraico non ci spiega esattamente ove sia da collocare il Paradiso Terrestre, Arbor Vitae incluso.  Tanto che i devoti giudaico-cristiani hanno continuato a credere fino ad oggi, non meno dei musulmani, che esso fosse in Palestina o, tutt’al piú, in Mesopotamia (1).  Parrebbe che in tale tradizione ne siano comprese in realtà due: una relativa alla mitica Terra Iperborea greco-romana e l’altra alla cd. ‘Atlantide Iperborea’ d’indoeuropea memoria, tramandata pure in termini non molto diversi dalla letteratura massonico-occultistica (2).  Benché la Genesi privilegi soprattutto Sem e i Semiti, a causa della discendenza ebraica da questo ceppo etnico, è evidente che il testo biblico incorpori tradizioni tramandate anche da Iafeti e Camiti principalmente – che possono venir incluse in quelle noaiche piú in generale – ed altre a queste precedenti.  Dal punto di vista cosmografico, la cd. ‘Atlantide Iperborea’ costituisce un riflesso invertito nell’ambito del V ‘Grande Anno’ (3) della Terra Iperborea nel I.  Nella Genesi oltretutto vige l’espediente di suddividere il tempo ulteriormente per 10, onde il ‘Grande Eone’ (scr.Manvantara) di 64.800 anni ha i tempi invero dell’Eone (scr.Yuga) di 6.480 anni, rispetto cui il ‘Grande Anno’ (scr. Mahāyuga) di 12.940 anni è ovviamente il doppio.  L’ultimo Eone, come insegna il calendario ebraico (che lo fa iniziare 720 anni dopo, per una ragione che non stiamo qui ad analizzare), è cominciato nel 4.480 a.C. ed è terminato nel 2.000 d.C.  Secondo quanto la tradizione popolare cristiana conferma (4).
                   In base a codesta semplice premessa, ne consegue indirettamente che se noi moltiplicassimo per 10 i 6.480 anni dell’Eone otterremmo il ‘Grande Eone’ per intero.  Dunque, è chiaro che aggiungendo uno zero ad ogni periodo indicato dalla Genesi acquisiremmo informazioni veritiere sulla durata effettiva – a grandi linee, s’intende – di quel dato periodo  A patto, naturalmente, di saper interpretare i simboli genesiaci in maniera adeguata.  Accettando d’intendere la descrizione della nascita dell’Uomo e della Donna come relazionata nel senso descritto all’inizio del ‘Grande Eone’ d’ellenica memoria, equivalente in tutto e per tutto all’ `Ōlām ebraico (5), ne potremmo ricavare alcune importanti deduzioni (6).  Ossia, la ‘Nascita di Adamo’ si riferisce a quello che in India è noto quale I Ciclo Avatarico, mentre la ‘Nascita di Eva’ al II; la ‘Vita beata nel Giardino delle Delizie’ al III e, logicamente, il ‘Peccato Originale’ al IV.    




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                   È lecito, anzi doveroso, fornire una spiegazione storico-religiosa a proposito di codesto assunto se si vuole realmente capire la reale portata delle affermazioni fatte.  La presenza solitaria di Adamo, in tutta evidenza, delinea la primordiale natura dell’essere umano, tutta compresa nel culto di Sé.  Il Sé ovviamente inteso non come ego, ma come intelletto trascendente la propria forma e contemplante la Luce Divina a livello interiore.  Questa perfezione assoluta, è ovvio, non può esser appartenuta a tutti; ma soltanto a colui che l’Islām definisce Primo ‘Profeta’ (ar.Rasūl), ovvero Adamo (7).  Cfr. col Matsyāvatāra hindu.  Agli esseri del I Ciclo Adamico si può esclusivamente attribuire una perfezione primigenia di tipo creaturale o sovrannaturale, se vogliamo cosí definirla; perfezione però che già vien meno in parte (di ¼)(8) nel II Ciclo Adamico, quello della consustanzialità di Adamo ed Eva, il fattore fondamentale che induce la prima forma di decadenza.  In parallelo, infatti, la Divinità si trasforma da oggetto della contemplazione dell’Uomo in senso assoluto in un ente duale.  Ciò non significa che entri in gioco alcuna reale dualità in senso esistenziale fra Creatore e Creatura, questo sarà opera purtroppo del Cainismo.  La dualità del secondo ciclo paradisiaco concerne  semplicemente la concezione del Divino, vale a dire la frammentazione fra Dio e l’Assoluto, nonché indirettamente fra Dio e il Divino Avversario.  Il che implica, indirettamente, l’assunzione di una terna di emblemi quale rinveniamo in Cina presso la figura di P’an-ku (9).  Nel ciclo successivo, il I Ciclo Evaico nascerà perciò una prefigurazione della forma trinitaria (10), onde risolvere il dilemma dell’Unicità Divina (11).  Rimanendo al II Ciclo Adamico, ovvero il II Ciclo Avatarico hindu, non è a caso che il secondo avatara abbia la veste di Uomo-tartaruga (Kūrmāvatāra).  Senza arrivare a tanto ma con analogo simbolismo, ossia affiancando per un verso la Tartaruga alla figura mitica del succitato P’an-ku o ponendola quale ispiratrice degli 8 Trigrammi nei confronti dell’alter-ego Fu-hsi (12), la tradizione cinese celebra lo stesso evento mediante il II Ciclo Regale (Imperiale) o Ciclo del Nordovest.  P’an-ku presenta, talora, in codesta ottica testa di dragone e corpo di serpente (13).  In fondo, la storia di Adamo ci narra la medesima cosa quando ci racconta della prima conoscenza del Serpente Tentatore (14) da parte di Eva.



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È da siffatto preambolo che prende le mosse, appunto, il I Ciclo Evaico; in cui è la femmina in senso lato, non esclusa la sua divina controparte, che passa a dominare sul maschio.  Sí da condurlo poco alla volta alla decadenza dei costumi – abbandono della dieta vegetariana, sino a questo momento predominante stando alla Genesi, con dedizione erotica concomitante ai piaceri della carne – che è tipica ancor oggi del crepuscolare mondo insulare oceaniano-meridionale (micronesiano-melanesiano), ove si ammette liberamente a sentire gli esperti viaggiatori che rispetto ai polinesiani essi hanno dapprima gustato il sangue degli animali uccisi e di conseguenza si sono poi dedicati ad un uso sfrenato del sesso (15).  Decadenza che coincide alla fine, secondo le Scritture, colla ‘Cacciata dal Giardino’.  In altre parole, Eva (s’intende, le Donne di Epoca Evaica) vive in un primo tempo col compagno in una natura ancora esoticamente incontaminata, dedita ai piaceri naturali ma senza abusarne; in un secondo tempo invece ne abusa, trasformando cosí Adamo (s’intende, gli Uomini di Epoca Evaica) in suo complice, al servizio di lei e della sua peccaminosità.  Il ‘Peccato Originale’ della coppia umana del II Ciclo Evaico consiste per l’appunto, al di là dei simboli del Serpente Tentatore e del godimento del Frutto Proibito, nell’abbandono del vivere in quello stato di ‘sovrannatura’ in cui l’aveva messa il Creatore.  Sovrannatura nel senso di dominio sulla natura, che è la forma psico-fisica del cosmo.  La Donna, nella quale la Psiche tende a prevalere sullo Spirito (16), è stata l’artefice inconsapevole di questo mutamento in base all’insegnamento scritturale; mutamento consistente in un allontanamento graduale, come detto, dalla condizione primigenia.  Venendo a prevalere la Donna sull’Uomo, e di conseguenza il principio passivo su quello attivo (17), non essendo piú sorretta da un’intellettualità trascendente (scr.buddhi) la vita degli esseri umani pian piano degenera verso la violenza e la sessualità fine a sé stessa.  In questo modo termina la storia del Paradiso Terrestre, della quale il Paradiso Iperboreo (18) ha rappresentato soltanto il primo dei quattro cicli che lo hanno determinato.  Adamo ed Eva s’accorgono a questo punto d’esser nudi, nudi nei confronti soprattutto del Bene e del Male, poiché hanno gustato il frutto dell’Albero della Vita, che in altra accezione è l’Albero della Conoscenza (19).  Ovverosia della Conoscenza del Bene e del Male, una metafora ad indicare l’Essere e 



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il Divenire.  Ecco perché la filosofia greca, la quale stabilisce i confini fra la sapienza tribale d’origine preistorica e la razionalità dell’uomo dei tempi storici, parte dall’Essere e dal Divenire (20) quali principi basilari del cosmo.  Ma è solamente l’iniziazione ai Misteri che può permettere all’uomo edipico dell’Età Ferrea, per dirla ancora coi Greci, di ripercorrere a ritroso la strada che ci ha portato dall’Età Aurea alla corruzione dei tempi ultimi; o, se preferiamo, dallo stato adamico originario all’infernale (21) Babelica Torre.  In fondo il Divenire di cui qui si parla è quel portento negativo onde, com’è tratteggiato nel Cap.X del Lost Paradise di J.Milton, Adamo ed Eva esuli dal Paradiso Terrestre cercano invano di salire su per i tronchi d’una illusoria selva di alberi-della scienza per coglierne i frutti, ma li vedono ben presto tramutarsi in cenere.  Poiché, se la Conoscenza di Dio permuta in esclusiva scienza delle cose mondane, non ci rimane che polvere in mano e il Peccato Originale elargisce cosí i suoi malefici frutti.       







 Note

(1)                L’identificazione colla Mesopotamia nasce dal fatto che, oltre al Tigri e all’Eufrate, la Bibbia si riferisce a due altri fiumi che secondo certi studiosi un tempo attraversavano quella terra e poi si sono essicati.  Ma in ogni caso, trattasi d’una identificazione simbolica, non può esser presa sul serio cosmograficamente parlando.

(2)                R.Guénon in Forme tradizionali e cicli cosmici- Mediterranee, Roma 1974 (ed.or. Formes Traditionnelles et cycles cosmiques- Gallimard, Parigi 1970), pp. 43-5, interpreta la storia narrata nella Genesi, per via dell’argilla di cui è costituito l’Uomo, come un’allusione al sorgere della ‘Razza Rossa’.  Ovviamente si tratta d’un riferimento corretto, dato che analogamente gli Africani utilizzano il simbolismo del ferro. 
(3)                I 5 ‘Grandi Anni’ della tradizione ellenica corrispondono ciascuno ad un dio nella prima metà e ad una dea nella seconda.  Platone, ad es., nel Tim.- xiii. 40 e/ 41a pone la doppia serie quinaria : 1) Urano-Gea, 2) Oceano-Teti, 3) Crono-Rea, 4) Zeus-Era e 5) i figli di questi ultimi non specificati (come 




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Apollo-Diana ecc.).  Sono, inoltre, in relazione con tutta una serie di fattori cosmografici quali le Direzioni, i Climi, i Venti, le Classi sociali, le Ecumeni e via dicendo.  Non esiste alcun trattato che specifichi queste corrispondenze in Grecia, ma anche in India avviene la stessa cosa e del resto le suddivisioni grosso modo concordano, essendo basate le une e le altre sui ‘Grandi Elementi’ (scr.Mahābhūta).
(4)                G.Acerbi, Brevi considerazioni sulla tematica apocalittica e il preteso ‘Millenarismo’ – Algiza, N° 10, Chiavari [Ge]1998, passim.
(5)                G.Acerbi, La nozione di ‘Olam’ nella cultura ebraica ed il culto solare giudaico-cristiano, da Noè a Hebron- Alle pendici del M.Meru (blog, pross.)   
(6)                Per un’esegesi maggiormente completa cfr. Manu e la leggenda adamica del ‘Peccato Originale’- Alle pendici del M.Meru (blog, pross.).  In una forma incompleta era stato pubblicato in parte nel precedente blog quasi omonimo ‘Alle pendici del Meru’, 27-12-07.
(7)                Si faccia attenzione a non confondere l’Adamo terreno con quello celeste.  Per es. quando un sufi quale M.Shabistarî (S.H. Nassr, Ideali e realtà dell’Islam- Rusconi, Milano 1974, p.76; ed.or. Ideals and Realities of Islam- G.Allen & Unwin- Londra 1966) afferma nel suo ‘Roseto’ del mistero’ che il dono profetico è apparso per la prima volta in Adamo, ma fu perfetto nel ‘Sigillo dei Profeti’, intende dire che il compimento della profezia per l’umanità adamitica è avvenuto con Muhammad.  Non che Maometto fosse piú perfetto 
di Adamo, il che sarebbe assurdo.  A meno di confrontare il Profeta coll’Adamo terreno, che ovviamente è inferiore.  Come fece una volta in modo sacrosanto lo stesso Maometto, il quale dichiarò di essere stato già profeta quando Adamo si trovava ancora fra l’acqua e l’argilla”.  Perché, altrimenti, sarebbe esplicitare una bestemmia; in quanto, in ultima analisi, è dall’Adamo Celeste che trae la sua profezia ogni profeta successivo (Zoroastro, Siddharta, Mosé, Gesù ecc.).
(8)                La frazione indicata piglia come intero tutto il Ciclo Paradisiaco propriamente detto, ma se si volesse prendere per intero il Grande Eone è ovvio che la frazione simbolica di decadenza sarebbe diversa, cioè di 1/10.
(9)                I 3 emblemi sono: la Fenice (Cielo), il Dragone (Atmosfera) e la Tartaruga (Terra).  Cfr. G.Acerbi, Sulla questione essenziale dell’Unicità Divina- Herakles, N°1, Feb. 2015 (Digibu, on line), §6, p.27, n.54; inoltre, fig.5.
(10)              Nell’induismo la prima forma trinitaria prende corpo infatti col Varāhāvatāra, signore del III Ciclo Avatarico; che, letteralmente, possiede una solla zanna.  Ma, in realtà ne ha tre ossia una in piú rispetto alle due normali dell'animale in senso biologico, su un piano meno elevato la prima ha valore 



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trascendente, le altre semplicemente fenomenico.  Quantunque l'iconografia, in generale, non rispetti tale concetto.
(11)                Ac., art.cit., §3, pp 5-7.
(12)              C.A.S. Williams, Outlines of Chinese Symbolism & Art Motives- Dover P., N.York 1976 (rist. della III ediz.rived. di Outline of Chinese Symbolism- Kelly and Walsh, S
hangai 1941; II ediz. 1932; I 1931 con altro edit.), ss.vv.  P’AN KU, p.314 e  FU HSI, p.203.
(13)              Will., op.cit., s.v. P’AN KU, p.314 (ultime righe).
(14)              Nel II Ciclo Adamico il Dragone del Nord trovavasi al perno polare, ciò che spiega l’arrotolamento del Serpente attorno all’Albero della Vita, insomma l’Axis Mundi.  Che poi tale Serpente rappresenti il Diavolo lo abbiamo già detto, è la prima incarnazione dell’Avversario Divino.  Vi è, tuttavia, anche un aspetto positivo e demiurgico in tale presenza, quantunque non ben messa in risalto nella tradizione giudaico-cristiana.  Si ricordi, d’altra parte, della Caduta di Lucifero, prima il piú bello degli Angeli.  Il che significa 
che coincideva col Santo Spirito, il cui dominio rendeva il Paradiso un sanctum regnum per dirla alla Guénon.  La tradizione giudaico-cristiana non ci spiega quando sia avvenuta la Caduta degli Angeli Ribelli, ma è evidente che abbiamo a che fare con una discesa agl’inferi di tipo titanico, quindi conseguente alla fine del Ciclo Paradiasiaco nel suo insieme.  Per quanto appaia immersa, illusoriamente in un’aura pre-temporale, la trasformazione d Lucifero in Satana è la controparte metafisica del passaggio di consegne da Adamo a Seth, passando per Caino.  Sarà infatti nel Ciclo Sethita che avverrà il crollo  definitivo dei Cainiti (e parzialmente pure degli Abeliti) attraverso l’incontro-scontro coi Sethiti, la parziale corruzione di costoro a base di feste orgiastiche nonchè pasti cannibalici a scopo sacrificale per imitazione cainita – come è avvenuto sino a tempi recenti nella zona selvaggia della Nuova Guinea, al dire degli antropologi o degli storici delle religioni – per poi giungere ad una ribellione finale da parte dei ‘Figli di Dio’ (chiamati, in alternativa, ‘Angeli’…).  La mitologia greca ricorda questi fatti sotto il doppio aspetto della Titanomachia, il primo scontro; e della Gigantomachia, in cui ai cainiti superstiti parrebbero essersi uniti senza successo degli abeliti venuti chissà da dove.  Sulla questione vedi H.Mriga, La Patagonia, terra di giganti- Webly, pross. on line.   
(15)              In tutta evidenza, tale decadenza etica è simile a quella cui si è accennato nella n.prec., ma ne è solamente un’anticipazione di grado minore in tempi ancora paradisiaci seppure prossimi a quelli della Caduta; in questo caso è sempre la femmina a dominare come nel I Ciclo Evaico, non il maschio come 




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nel Ciclo Sethita.  Inoltre, non è ancor vigente il sacrificio e la crudeltà che inevitabilmente l’accompagna; né è subentrato al momento il fattore orgiastico, ispirato piú tardi al culto tribale tanto della fecondità umana ed animale in genere (legato indissolubilmente all’ossequio verso gli antenati) quanto della fertilità vegetale (propiziazioni rituali di stampo orticolo-primitivo).
(16)              Per questo taluno, scioccamente, tende a concepirla come inferiore all’Uomo.
(17)              In termini cinesi lo Yin sullo Yang, il che è come dire la Virtù dell’Uno (cin.Tē) – equivalente alla ‘Presenza’ della tradizione ebraica od alla ‘Potenza’ di quella indiana – sull’Uno (cin.Tao), sebbene lo Yin sia anche l’emblema dello Zero metafisicamente parlando oppure del Due.  Detto in termini cinesi, nel II Ciclo Regale prevale il senso del Tao inteso come la Madre (lo Zero, la Bruma); nel III Ciclo il Tao scade a Principio Unico, o Soffio Creatore se preferiamo, nel IV domina invece la Tē.  Ed è solo nel V Ciclo Regale che lo Yin e lo Yang si contrappongono dualmente come il Due e l’Uno (non dualisticamente!), poiché la simbologia dello Yin e dello Yang tende a scadere a livello cosmologico.  
(18)              Un nostro scritto intitolato Il Paradiso Iperboreo quale Terra di Luce e di Tenebre è in preparazione quale primo capitolo, a sé stante, d’una raccolta d’articoli vari (G.Acerbi, Viaggio nella Luce e nelle Tenebre, pross.).
(19)              Cfr. G.Filoramo, L’attesa della Fine. Storia della Gnosi- Laterza, Bari, Cap.VI sgg.  Quanto riferisce il Professore a proposito del ‘Dio Antrhropos’ posto al centro del cosmo dagli gnostici, bisogna capire che costui è l’equivalente del Rāmacandra hindu, omologo indiano (parziale) di Seth.  Entrambi questi personaggi dal risvolto umano paiono legati al numero 7, ovvero l’uno per il fatto che è il Settimo Avatar, l’altro per l’etimo medesimo; che l’apparenta per un verso al lat.Sāt-urn-us/ Sa[vi]t-urn-us (scr.Sa[vi]t-ar) in quanto dio proto-agrario e, per il resto, al Settimo Pianeta’ dell’ebdomade planetario nella simbologia ermetica.  Inoltre, come Seth funge da erede di Adamo, cosí Rāma (corrispettivo etimologico del secondo Lamech biblico) funge da erede di Manu, l’Uomo-dio delle origini.  Da notare che questo Lamech (il padre di Noè, cit. in Gen.v. 25-31) è figlio di Metušelah, a differenza del primo Lamech (l’uccisore di Caino, cit. in IV. 18-24), figlio del quasi omonimo Metušael; il quale ha molto in comune con il primo Rāma, chiamato Paraśurāma.
(20)              Ciò non è avvenuto unicamente in Grecia con Eraclito e Parmenide.  In India, egualmente, il tema di fondo di tutta la sapienza vedica  fino alle Upanisad non è altro che la dicotomia Kāla-Akāla.



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(21)               Ricordiamo che la Lama XVI dei Tarocchi, ovvero la Torre, altro non è che la Torre di Babele e non a caso a volte in certe specie di carte è chiamata l’Enfer.  Cfr. O.Wirth, I Tarocchi- Mediterranee, Roma 1973 (ed.or. Les Tarots des imagiers du Moyen Age, C.Tchou Ed., Parigi 1966), P.<Sec., XVI, p.223.  Ed è effigiata alternativamente da un’immagine di Orione, dietro cui campeggia il Serpente ad indicare un’opposizione astrale, confermata dallo Scorpione che come nel mito punge il piede del gigante; oppure dalla Bocca del Mostro dal muso maialino che inghiotte i dannati al ritmo del Tamburo, portato a tracolla e scandito dal Diavolo (ibid., p.222, figg. accluse).




sabato 1 agosto 2015

AUM...




 Effetti positivi della meditazione spirituale

 sui Tre Dosha,

 fattori-base dell’Ayurveda

























Tesina di Diploma in Medicina ayurvedica

Bologna, Dicembre 2008
































        Diplomando: Francesco Giampà




























Indice





Capitolo Primo - Natura e significato del Tridosha




  a)    Introduzione generale: i principî del cosmo secondo l’induismo         pp.  1-3
                               
  b)    Dosha e stato di salute                                                                              pp.  3-4

  c)    Rapporti fra i Dosha e i vari organi                                                           pp.  4-7

  d)    Categorie di malattie e tipi corporei                                                         pp.  7-8
                                                                    







Capitolo Secondo - Effetti della meditazione
 sulla mente ed il corpo



    a)    Com’è nato l’Ayurveda                                                                           pp.  9-10
                             
    b)    A cosa serve l’Ayurveda                                                                         pp. 10-2
                                       
c)         L’Ayurveda quale scienza della longevità                                            pp.  12-5
   
d)         Ayurveda e Jyotisha                                                                               pp.  15-7

e)    Il riequilibrio psicofisico attraverso la meditazione                             pp.  17-9

   





























































Capitolo Primo



Natura e significato del Tridosha









    a)    Introduzione generale: i principî del cosmo secondo l’induismo




    L’Ayurveda, come mostra la denominazione stessa, indica la conoscenza (Veda) della


vita (ayus).  Essendo il sistema vedico in tutto connesso, anche l’Ayurveda costituisce


parte integrale dei Veda.  Il Veda stabilisce che i tre principî costitutivi dell’universo sono


rappresenta  ti dal Tripurusha  (le ‘Tre Persone’, più o meno corrispondenti a quelle della


Trinità cristiana).


    Il Primo Purusha o Purusha Supremo (Purushottama) è l’Assoluto, cioè quel che noi


occidentali cristiani chiamiamo Dio Padre.  Il Secondo Purusha è il Principio della


Manifestazione cosmica, insomma l’Uno che crea il mondo.  Nella Bhagavad Gita viene


identificato a Krishna, così come i cristiani identificano il <Figlio> (di Dio Padre) a Cristo. 




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( Darśan A.S.D. )


Il Terzo Purusha, infine, equivale allo Spirito Santo, in quanto essenza sdoppiata


dell’essere totale.  Ossia quel Purusha che è Krishna, rappresentante androginico


dell’Essere (o Principio della Creazione), si sdoppia in Maschio e Femmina.  In altre


parole, il Terzo Purusha, che è solamente Essenza, s’accoppia alla Mula-Prakriti, cioè


letteralmente la ‘Radice della Manifestazione’ o Sostanza ) ed accoppiandosi determina la


Creazione.


    Ora, è appunto al minore dei tre suddetti Purusha che s’applica la scienza ayurvedica. 


Il Terzo Purusha è il campo d’applicazione del sapere cosmologico, nel cui ambito rientra


l’Ayurveda coi suoi trattamenti specifici.  Infatti, nell’atto creativo il Maschio-essenza si


unisce alla Femmina-natura e dall’accoppiamento nascono i Tre Guna.  Vale a dire, le ‘Tre


Qualità’ dell’esistenza: 1) Sattva, associato al color bianco; 2) Rajas, al color rosso; 3)
  

Tamas, al nero.  Il Triguna costituisce la triplice polarizzazione della Mente (Manas), più


o meno coincidente con quel che in Occidente definiamo nell’insieme Superconscio


(Sattva, la parte superiore della psiche tendente alla trascendenza), Conscio (Rajas, la


parte mediana sempre vigile e tendente all’attività) e Subconscio (Tamas , la parte





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( Darśan A.S.D. )



inferiore e più pigra nonché tendente alla passività).


    Dal riflesso sul mentale dei Tre Guna si sviluppano i famosi 5 Maha-bhuta (‘Grandi-


elementi ): 1) Etere (Akasha), 2) Aria (Vayu , 3) Fuoco (Agni), 4) Acqua (Ap), 5)


Terra (Prithivi).  Anche i Greci conoscevano i 4 Elementi e designavano <Quintessenza>


la loro comune origine.  Tale nozione sta alla base della loro filosofia.  Gl’indiani invece li


chiamavano Pañca Maha Bhuta, ovvero ‘Cinque Grandi Spiriti’; s’intende, degli Elementi. 


La relazione del Tridosha coi Bhuta è semplice, quello proviene da questi.  Si potrebbe


addirittura considerare il Tridosha, siccome combinazione dei Bhuta, una manifestazione


su un piano inferiore del Triguna.  Nel senso che da Akasha e Vayu deriva Vata (insieme


di Etere e di Aria), da Agni e Ap si ha Pitta (Fuoco con Acqua), da Ap e Prithivi Kapha


(Acqua e Terra ).






        b)    Dosha e stato di salute




    In condizioni di normalità il Tridosha, che ovviamente è incorporeo essendo generato da




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( Darśan A.S.D. )


una fluidità impercettibile ai sensi, risulta equilibrato per proporzione ed azione.  Cosicché


la persona gode di buona salute.  Se, al contrario, una persona adotta diete squilibrate


oppure agisce in maniera irragionevole, si determinano degli sconvolgimenti fisiologici


 all’interno del corpo umano in relazione ai Tre Dosha.  O, se vogliamo dire diversamente,


il Tridosha controlla l’organismo dell’individuo, regolandone l’equilibrio generale; tanto a


livello fisico, quanto a livello mentale.  Ciò dal momento che non soltanto esiste un


interscambio psicosomatico fra la mente e il corpo, nel senso che il corpo somatizza i   


problemi mentali, ma avviene anche in linea inversa un interscambio fra il corpo e la


mente.






    c)    Rapporti tra i dosha e i vari organi




    L’Etere predomina sugli altri 4 Elementi e ne mantiene l’equilibrio colla sua natura più


rarefatta.  Può esser concepito quale spazio che permette il movimento.  Gli altri 4


Elementi sono distinguibili  in 2 maschili (Aria e Fuoco) e due femminili (Acqua e Terra). 





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( Darśan A.S.D. )


Ragion per cui la loro quintessenza costituisce, in certo modo, la non-distinzione originaria


tra maschile e femminile.  In maniera analoga, altrettanto fra i dosha è Vata a dominare


sugli altri due (Pitta e Kapha), sui quali svolge una funzione a sua volta regolatrice.


    Essendo il più elevato dei tre, Vata (misto di Etere e Aria) ha a che fare colle parti più


nobili dell’individuo, il cervello e il sistema nervoso.  Inoltre, regola il sistema osseo ed


articolare, nonché parte del sistema digerente.  Praticamente l’intestino grasso, dove


s’accumulano i gas della fermentazione e della putrefazione.  Giacché l’apparato uditivo


corrisponde elementalmente all’Akasha e il sistema tattile a Vayu,  ecco che Vata (lett.


‘aria’) essendo un insieme di questi due bhuta governa sia l’udito che il tatto.  Due fattori


psicologici sono particolare fonte di squilibrio del Vata, le ansie e le paure, che stanno alla


base dello stress contemporaneo.  Lo stress, come insegna il dizionario inglese, altro non


è che ‘tensione’ accumulatasi nel vivere quotidiano tramite l’ansia per il presente e la


paura del domani.  Pitta (lett. bile)’, di cui la veloce attività calorica generata dal sangue e  


dai vasi sanguigni è la principale caratteristica), essendo viceversa composto dal punto di


vista elementale di Fuoco regola il sistema cardio-circolatorio; e, simultaneamente,





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( Darśan A.S.D. )


governa quella parte del sistema digerente che corrisponde all’intestino tenue e al fegato. 


    Questa parte del corpo ove risiedono i suddetti organi ha d’altronde a che fare nella


fisiologia occulta della tradizione tantrica col Terzo Cakra, correlato all’Elem. Fuoco.   È


vero che l’Ayur è altra cosa rispetto ai Tantra, legati al culto della Shakti, la Gran Madre


indiana.  Tuttavia, dipendendo dall’Atharvaveda, cioè dal Veda tantricizzato in età


relativamente recente (Kaliyuga),  l’Ayur è ad essi senza dubbio apparentato.  Essendo


però formato in parte anche di Acqua, Pitta predomina su quelle facoltà cerebrali che


come tale elemento hanno capacità penetrativa (intelletto, comprensione ecc.) nei


confronti della realtà circostante.  All’interno dei sensi la vista è determinata dalla luce e,


quindi, appartiene al Fuoco.  Perciò Pitta governa la vista.  Al negativo è la collera, intesa


quale infiammazione della mente, il principale fattore squilibrante di tale dosha.   


    Kapha (lett.  ‘flemma’), di cui la lentezza circolatoria dei vasi linfatici è il fulcro a livello


organico), dal canto suo è responsabile dello stomaco, dei polmoni e del torace più in


generale, compreso l’intero apparato respiratorio.  In pratica, quelle parti del corpo più


umide ed aventi funzioni vegetative, così come Pitta regola le funzioni fisiologiche





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( Darśan A.S.D. )


propriamente animalesche.  Kapha sta per di più in rapporto al sistema tegumentario e


connettivo (pelle e tessuti), dato che dipende dall’Acqua e dalla Terra, ossia gli Elementi-


base.   A loro volta Acqua e Terra vengono correlati sensorialmente al gusto e all’odorato. 


Quindi Kapha dispone, in aggiunta, di codesti due sensi.  Poiché i sentimenti ed ogni


forma affettiva in generale hanno natura fluidica e passiva dal punto di vista psichico,


Kapha regola altresì queste nostre espressioni intime.  Negativamente parlando,


l’attaccamento risulta il principale ostacolo al mantenimento in equilibrio di questo dosha.






    d)    Categorie di malattie e di tipi corporei




    C’insegna l’Ayurveda che i disturbi mentali e corporei vengono talvolta prodotti dai tre


Dosha nel loro insieme, talora invece dalla combinazione di due di questi o solamente da


uno di essi.  A tal proposito bisogna sapere che la scienza ayurvedica prende in


considerazione due categorie di malattie, denominate sharirika e mansika.  Le prime


producono disturbi corporei, le seconde disturbi mentali.  I due aggettivi derivano dal





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sanscrito sharira  (‘corpo’)  e manas (‘mente’).


    Esistono comunque tipi diversi di costituzione fisica secondo gl’indù, da costoro posti in


correlazione colla Prakriti (‘Manifestazione’).  Come diremmo noi, si tratta in definitiva di


tipologie naturali diversificate.  La classificazione indiana è ovviamente triplice: 1) Vatika


(‘Ariosa’), Paittika (’Biliosa’) e Kaphaja. (‘Linfatica’).  E dipende strettamente dall’individuo,


a partire già dalla sua forma embrionale.  Questa triplice classificazione ha una ignota


corrispondenza nella tradizione occidentale colla suddivisione degli umori, che a differenza


di quella orientale è tuttavia quintuplice.  Difatti l’umanità era anticamente classificata dalla


cultura europea secondo i seguenti 5 Temperamenti: a) Equilibrato (ovverosia


Quintessenziale), b) Nervoso (cioè Arioso), c) Sanguigno (ossia Igneo), d) Bilioso (ovvero


Fluidico ), e) Flemmatico ( o Linfatico ).



















Capitolo Secondo



Effetti della meditazione sulla mente ed il corpo









    a)    Com’è nato l’Ayurveda




    Al dire di Candrashekar G. Thakkur, insegnante ayurvedico marathi, fin dal I millennio


a.C. veniva fatta distinzione in India fra i medici veri e propri e i semplici guaritori.  Anche


se, ad esser sinceri, l’Ayurveda costituiva di per sé un’appendice del quarto e più recente


dei Veda, l’Atharva.  Ora, l’Atharva non è che un manuale in sostanza di formule magiche


e incantesimi, pur comprendendo molte altre cose tra le quali una lode sperticata dello


studio dell’anatomia umana… 


    Da ciò si capisce perché mai l’Ayur sia considerato un upaveda (Veda minore).  Nella


mentalità indiana l’Atharva è il Veda apposito del Kaliyuga, la Quarta Epoca, essendo


molto vicino ai Tantra.  Questo per il fatto che nella nostra Epoca (s’intendono in tal senso




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pressappoco gli ultimi 6.500 anni) le conoscenze più arcaiche alle quali si rifà la dottrina


brahmanica si sono confuse con altre non-vediche.  Soprattutto con quelle tantriche, di


matrice dravidica.  I Dravidi sono a loro volta discendenti d’un ceppo camitico d’origine


mediterranea, che si spostò alcuni millenni or sono sino alla terre bagnate dal fiume Indo. 


In altre parole, è possibile dire, l’Atharva e l’Ayur posseggono un carattere abbastanza


popolare.  Quasi come i Tantra, rispecchianti dal canto loro la tradizione dravidica vera e


propria.






    b)    A cosa serve l’Ayurveda




    Si suol dire che l’Ayur si basa nella cura delle malattie principalmente sul controllo della


idratazione.  Questo fa sorridere di primo acchito noi occidentali.  Eppure, non afferma la


scienza moderna che il corpo degli animali e delle piante è composto in gran parte


d’acqua?  L’acqua è la vita, anche a livello organico!  Oltre all’acqua, nella terapia


ayurvedica si adoperano le erbe medicinali, come nell’erboristeria europea.  Sennonché,





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dichiarano i maestri indiani attuali dell’Ayur (vedi documentario introduttivo trasmesso a


suo tempo in un canale televisivo privato), le erbe oggi a disposizione sono assai meno di


quelle che si potevano adoperare una volta.  Poiché il disboscamento e il diserbo massicci


dei terreni incolti, per far posto a coltivazioni agricole, hanno prodotto un danno pressoché 


irreversibile alla vegetazione naturale.  Sicché, oggi certe specie di erbe medicinali non


sono più disponibili, con gran danno alla nostra salute.  Oltreché alla natura e al


paesaggio…


    Un altro problema sorto indirettamente dalla situazione appena descritta è costituito dai


medicamenti minerali.  La pratica ayurvedica prescriveva un tempo parallelamente l’uso


terapeutico dei metalli, ma gl’inesperti praticanti attuali non sanno che una volta i metalli


venivano trattati con speciali piante depuranti, al fine di renderli idonei ad esser ingeriti in


polvere dal nostro organismo.  Più o meno come si fa, attualmente, per mezzo di


compresse contenenti ferro per le persone anemiche.  Anticamente si faceva impiego


anche degli altri sei metalli alchemici, a parte il ferro: oro, argento, mercurio, rame, stagno


e piombo.  È ovvio che, ignorando la tecnica depurativa del passato, coloro che hanno





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preteso d’applicare le antiche formule in maniera ingenua o hanno raggiunto dei risultati


inconcludenti, finendo col dimostrare    seppur a torto – che i vecchi metodi terapeutici


indiani non possedevano alcuna efficacia né basi scientifiche serie;  oppure hanno


determinato gravi avvelenamenti alla salute dei loro pazienti, con danni evidenti


all’immagine delle pratiche mediche indiane di tipo alchimistico.


    È dunque comprensibile che in seguito si sia diffusa l’idea che l’Alchimia, se presa per


quel che doveva essere, rappresentava un simbolismo esclusivamente spirituale.  E che


invece l’azione senza capo né coda di certi alchimisti ignoranti s’esercitasse con ingordigia


su assurdi esperimenti chimici per fabbricare oro.  Niente di più falso.  Se è vera la prima


parte dell’asserzione, non può esserlo la seconda in base a quanto affermato sopra.  Vi è


infatti chi sostiene che ogni metallo puro e naturale ha la sua funzione anche sul piano


strettamente medico.






    c)    L’Ayurveda quale scienza della longevità




    Un altro pregiudizio che l’occidentale deve affrontare riguarda la causa prima delle


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malattie.  Si è visto al Capitolo Primo che secondo l’Ayur sono i Dosha a provocare lo


squilibrio patologico nell’organismo malato.  Anzi il termine dosha in origine significava


‘colpa, vizio; danno; alterazione, malattia’.  Solo successivamente è venuto a designare


i tre umori che una volta in disequilibrio le provocavano.  Però, a ben guardare, cos’è che


innanzitutto determina il disequilibrio umorale?  I testi rispondono, senza pudore: Dei e


Démoni (letteralmente Deva ed Asura).  Dinnanzi ad una risposta di questo genere, se


qualcuno ha già mostrato prima qualche tentennamento verso la logica dell’Ayur, a tal


punto perde fiducia definitivamente nei confronti della medicina indiana in generale.  Non


c’è scampo!  Eppure tracce di codesto metodo sono reperibili persino nell’Europa


Medievale o nell’Antico Egitto.  Da ricerche storiche recenti pare che Gesù stesso


disponesse di conoscenze mediche di tal tipo, mutuate tramite Giovanni Battista e gli


Esseni dalla medicina egizia, apparentata di per sé a quella indiana.  Dato che, come i


Dravidi, anche gli Egizi erano delle popolazioni camitiche.


    Per capire insomma quanto ci dicono i testi indiani, bisogna naturalmente sapere con


precisione cosa Deva ed Asura fossero per gli antichi abitatori dell’India.  Dagli studi oggi





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noti si deduce che per Deva essi intendevano gl’influssi dello Zodiaco sul Destino umano; 


o meglio, i principi divini inerenti alle costellazioni ed emananti nel cosmo la loro celeste


potenza.  Per Asura, viceversa, s’intendevano gl’influssi planetari e relative cause prime. 


    Non si può adesso discutere, seriamente, se costellazioni e pianeti siano mossi da Dei


eTitani (o da Angeli e Demoni, come credevano i cristiani nel Medioevo ) oppure


costituiscano esclusivamente degli oggetti cosmici in movimento nello spazio.  Il problema


della validità scientifica dell’Astrologia indiana non è qui in discussione.  Semmai è in


discussione la coerenza dell’Ayur colle basi cosmologiche e metafisiche da cui dipende.


È chiaro che chi non crede che la vita abbia origini divine ed ha una visione materialistica  


del mondo non crederà neppure che le malattie possano esser generate dal cosmo, né


che l’astratto possa generare il concreto.  Anche se l’esperienza immediata ci prova il


contrario, poiché per fare una cosa, qualsiasi cosa, occorre prima studiarla e realizzarla


mentalmente, cioè in astratto.  Solo dopo avverrà l’applicazione in concreto.  Maha-bhuta


e Dosha sono concetti astratti, non si trovano in natura allo stato grossolano della materia,


appartengono al mondo sottile della psiche.  Non per questo sono irreali.  Sono molto più





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illusorie le cose concrete, come ad es. le malattie.  Che difatti sono per loro natura assai


sfuggenti ed indelimitabili.  Gli ayurvedisti non si occupano troppo perciò di classificarle e


descriverle una per una.   Preferiscono piuttosto affrontarle con una cura efficace e


debellarle, riportando mente e corpo ad uno stato di salute il più possibile durevole.  Ecco


in cosa consiste essenzialmente la tecnica di longevità ayurvedica.






d)         Ayurveda e Jyotisha




    Riassumendo, nella visione indiana del mondo la Divinità è la causa prima delle


malattie, come d’ogni altra cosa del resto; i signori planetari e stellari le cause seconde,


Bhuta e Dosha le cause terze.  Se il mondo è divino, allora le influenze della Divinità sul


mondo sono un fatto reale, non una fantasia.  In ogni caso, anche i più grandi pensatori


occidentali – da Platone a Dante, da Newton e Goethe – hanno ritenuto divino il cosmo


e scientifica l’Astrologia (sanscrito Jyotisha).  Persino le ricerche mediche del sec.XX


hanno provato la veridicità dell’indagine antica in campo astrale, soprattutto da parte





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dei Camiti (Dravidi, Sumeri, Egizi).  Tempo fa infatti un medico cecoslovacco, il dott.


Jonas ideò un metodo di controllo delle nascite fondato nientemeno che sulle ricerche


astrologiche degli antichi Sumeri, provando la maggior validità delle loro nozioni sul ciclo


mestruale di quelle embriologiche della medicina occidentale  moderna.  Purtroppo fu


poi allontanato dal suo incarico per ragioni politiche e messo a tacere in un manicomio,


lui che era psichiatra.


    La presenza planetaria nell’oroscopo d’una persona, in determinati campi o meno,


forma a seconda delle costellazioni nelle quali essi compaiono un quadro elementare


specifico, che varia di giorno in giorno in base ai transiti astrali.  Dato che i Dosha


dipendono dai Bhuta e i Bhuta dal Kalacakra (la ‘Ruota del Tempo’, colle sue variazioni


continue in sede celeste), è chiaro che le influenze degli astri alleggeriscono o


complicano per loro natura il quadro elementale generale di tutti gli esseri viventi, ciò


riflettendosi sulla salute d’ogni individuo.  Benché non soltanto su quella.  Il medico


esperto, perciò, doveva tener conto delle influenze ma non rimanere passivo di fronte a


queste.  In ciò stava appunto la differenza fra Medicina (Ayurveda) e Astrologia 


(Jyotisha).


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    Le prescrizioni del medico servivano a modificare in meglio la situazione astrale,


sanando dove si doveva sanare.  La cura consisteva nell’uso di semi, erbe, fiori,


cortecce (in polvere o in infusi) oppure nell’impiego di metalli polverizzati e depurati


dalle sostanze tossiche incluse.  Tenendo conto della stagione, del luogo di provenienza


del malato, dell’età – tutti fattori connessi in un modo o nell’altro agli astri – si invitava il


malato a far a meno dieteticamente di certi cibi, di certi atteggiamenti psicologici.  Il tutto


in una sintesi complessa che teneva conto del valore d’ogni singolo Elemento e delle


combinazioni possibili.  Un esempio banale.  Se un individuo nasceva con una


prevalenza dell’Elemento Fuoco, era inevitabilmente soggetto a disturbi legati a tale


Elemento.  Cioè cardiopatie, problemi a livello ematico, ecc.  L’acquisizione di cibi


appropriati e rinfrescanti o la pratica di terapie varie con analogo scopo produceva


risultati benefici.  Viceversa, se in una persona si verificava una carenza di Acqua


(l’Elemento, non il dissetante comune ) nell’oroscopo radicale od in quello annuale.  La


terapia cercava di riequilibrare l’Elemento carente, quasi che fosse un oligominerale.







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e)          Il riequilibrio psicofisico attraverso la meditazione   




    Gl’influssi e i riflussi astrali, concernono esclusivamente il campo psichico. Non


agiscono sullo Spirito.  Vi è un’unica cosa che regola la nostra spiritualità: la


meditazione trascendentale, o yogica per così dire.  La meditazione poggia sulla


concentrazione .  La concentrazione profonda provoca un magnifico rilassamento di tutti


i muscoli del corpo, ma non consiste in un semplice training autogeno, il quale produce


benefici esclusivamente fisici.  La meditazione agisce in parallelo anche sulla psiche. 


Poiché non è la mente a condurla, come avviene col training, bensì il nostro Sé più


profondo. 


    È tramite questo nostro inabissarci nelle più segrete fenditure della coscienza che


veniamo a conoscere il nostro essere vero e raggiungiamo la beatitudine.   Secondo la


nota formula logica Sacchidananda (lett. ‘Essere-Coscienza-Beatitudine).  Finché la


mente pensa, agiscono su di noi le influenze cosmiche, con tutti i loro pericoli dal punto


di vista della salute.  La meditazione formale, se attuata nel modo giusto, compie una






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sospensione del mentale molto più profonda di quella prodotta dalla semplice preghiera. 


E magicamente viene così a riequilibrare la negatività psichica accumulatasi in noi in


vari modi.  Tramite il nostro vivere quotidiano, la nostra dieta, le nostre frequentazioni, la


nostra esposizione ai fattori ambientali più disparati, le nostre emozioni intime.  E così


via.  In sintesi, il nostro sottostare ai raggi cosmici e alle loro determinazioni vitali.


    Anche in questo caso, non val la pena d’analizzare tutti i fattori disturbanti circostanti,


od interiori, ma occorre invece eliminarli tutti assieme in una volta colla pratica


meditativa.


    Quel che succedeva originariamente, secondo quanto ci narrano le scritture indiane,


nel Paradiso Terrestre.  La meditazione lo riattualizza attraverso lo Yoga (‘Unione’,


col Principio della Creazione ) od ogni altra pratica di coltivazione spirituale omologa. 


Ragion per cui, la prerogativa della purezza appartenente agli esser paradisiaci – dalla


tradizione hindu chiamati Hamsa (‘Oche Selvatiche’) – scende alla nostra portata. 


Purezza in tal senso significava pure assenza di malattia.  L’oca selvatica è un


uccello capace di librarsi nell’aria maestosamente.  Cinesi ed indiani da tempo





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immemorabile hanno preso siffatto volatile ad indicare il volo shamanico dell’anima


individuale (Jivatma) verso l’anima universale (Atma).


    Per taluni la cosa avviene solamente nel momento della morte.  Per altri nemmeno in


tale circostanza purtroppo e  per altri ancora ogni volta, o quasi, che s’accingono a


meditare.


































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Bibliografia



1)     C.G.Thakkur, Introduzione all’Ayurveda- Astrolabio-Ubaldini, Roma 1979.
2)     M. & J Stutley, Dizionario dell’Induismo- Astrolabio-Ubaldini, Roma 1980.
3)     Dizionario d’Inglese Hazon-Garzanti, Milano 1961.
4)     M. Monier-Williams, Sanskrit-English Dictionary- N.Delhi 1981.
5)     N.Zingarelli, Vocabolario della lingua italiana- Bologna 1996.
6)     Dispense delle lezioni a c. del Seminario.
7)     G.Acerbi, Kālacakra, la Ruota Cosmica- Univ. di Ven. “Ca’ Foscari”, Venezia 1985, tesi di laurea in ‘Storia dell’arte dell’India e dell’Asia Centrale’.
8)     S.Radakrishnan, Bhagavad Gita- Astrolabio-Ubaldini, Roma 1964.





                                       Consulente:     GIUSEPPE ACERBI